Si intitola Putinland, il Paese di Putin, il libro che Leonid Wolkow ha pubblicato (in tedesco per le edizioni Droemer Knaur, in italiano non è disponibile) per spiegare il nocciolo delle aberrazioni politiche, sociali ed economiche di una Russia in preda al putinismo. Ovvero «la follia imperiale, l’opposizione in Russia e la cecità dell’Occidente», per citare il sottotitolo di queste fulminanti 232 pagine. L’autore da tre anni vive rifugiato a Vilnius, la capitale della Lituania, e da lì dirige l’ufficio politico della Fbk, la «Fondazione anti-corruzione» fondata dal dissidente russo Alexei Navalny. Nel 2018 è stato Wolkow – che di formazione è un ingegnere informatico – a guidare la campagna elettorale di Navalny per le elezioni politiche in Russia. Già nel 2013, alle elezioni amministrative di Mosca, in cui Navalny spuntò un sensazionale 27 per cento dei voti, fu sempre Wolkow a programmare la campagna elettorale del più importante dissidente e di fatto «il nemico numero uno nella Russia di Putin», come Wolkow lo definisce. È dal lontano 2011, dai primi passi in politica di Navalny con il suo cliccatissimo blog di protesta, che i due si conoscono.
Anche dopo il micidiale attentato contro Navalny, in cui i Servizi segreti russi cercarono di eliminarlo con il veleno Nowitschok, c’era Wolkow nella camera dell’Ospedale berlinese della Charité mentre Navalny si risvegliava dal coma. «Quell’attentato – osserva oggi lui – è stato un fatale errore di Putin. Da allora la gente in Russia sa che, per quanto criminale e pericoloso, Putin non è onnipotente e può anche fallire». Wolkow è ottimista riguardo alle sorti del movimento di opposizione in Russia: «Sono un ottimista per natura e credo fermamente nella possibilità di uno sviluppo democratico nel mio Paese». Intanto nessuno conosce più a fondo di lui i perversi meccanismi del gigantesco, devastante sistema di corruzione che oggi pervade sino nei minimi dettagli la società e politica russa.
Per farci intuire al volo i livelli di corruzione in cui è precipitata la vita quotidiana nella Russia di Vladimir Putin, Wolkow parte nel libro da una piccola «mazzetta» da 500 rubli, circa 9 euro. Tanto in genere occorre direttamente dare al poliziotto che a Mosca o in una delle città di Putinland ti ferma per un’infrazione stradale. «Esatto, oggi tutto in Russia si basa sulla corruzione. Anche un insignificante ministro nell’Oblast di Murmansk, specifica lui, la regione più povera nella Federazione russa, è arrivato tramite soldi sottratti allo Stato a comprarsi a Lucerna un palais da 40 milioni di euro!». Dal furto del vigile urbano ai milioni sgraffignati da governanti e ministri, tutto in Putinland gira intorno a un vortice di «tangenti» sempre più astronomiche. Sino ad arrivare ai fiumi di miliardi che servono a Putin stesso, al suo clan di familiari e ai fedelissimi boiari per finanziarsi le sontuose ville, squadre di calcio o mega-yacht.
Non si tratta di fantapolitica. La «Fondazione anti-corruzione» di Navalny ha documentato in un video tutte le stanze, gli arredamenti principeschi e i parchi del «Palazzo di Putin» che lo zar si è fatto erigere sul Mar Nero. «Quel video – spiega Wolkow – è stato visto da oltre 120 milioni di persone, che ora sanno come la Russia potrebbe essere ricca e stabile, se il regime non rubasse almeno il 70 per cento delle risorse che gli derivano dal gas e dal petrolio». Lo scalpore non deriva tanto dal fatto di possedere un palazzo da sceicco, quanto dalla corruzione endemica di un sistema politico-economico con cui Putin controlla, con metodi mafiosi, l’intera Federazione. La sua Putinland per l’appunto.
«In Occidente non si vede ancora in Putin e nel suo regime un enorme clan malavitoso, ma tutto il suo potere è costruito con i classici metodi dell’organizzazione mafiosa». Se questi sono i metodi con cui Putin, dal 2000, controlla i vertici dello Stato, è anche chiaro che, una volta crollato il «Padrino», nessuno dei suoi corrotti accoliti potrà sostituirlo al Cremlino. «Quando il regime crollerà – prevede Wolkow – resterà qualche nostalgico di Putin, ma il putinismo è tale che nessuno dei suoi fedeli ministri potrà sopravvivere alla fine del boss». Dunque è solo la comprensibilissima paura dei cittadini a reggere in piedi la società russa. Ed è solo con la martellante propaganda, in tv e internet, che Putin conserva il consenso.
Ma qualcosa sta cambiando. Riprende Wolkow: «Stimiamo che prima della guerra in Ucraina almeno il 30 per cento della società civile fosse contraria al regime. Il disastro iniziato lo scorso febbraio, e accelerato dalla mobilitazione, non può che aver aumentato la protesta interna». Di fatto, sostiene il nostro interlocutore, più di 40 milioni di russi sono scettici rispetto alla politica di Putin e avversi alla tragedia in Ucraina. Certo, dopo il blitz in Crimea, nel 2014, Putin credeva che anche per l’Ucraina gli sarebbe bastata «un’operazione militare speciale». «Un fatale errore di calcolo – spiega Wolkow – che ci fa capire quanto male lo zar sia informato dai suoi generali e dai suoi servizi». E che ci fa anche toccare con mano quanto Putin sia lontano dalla realtà: «Il suo distacco dalla realtà ha raggiunto nei due anni del Coronavirus livelli schizoidi. Già Angela Merkel aveva notato e detto chiaramente che Putin “è staccato dal mondo”. Ma in Occidente pochi hanno recepito il giudizio della ex Cancelliera tedesca».
Quali saranno ora le conseguenze dell’agghiacciante guerra in Ucraina? Cosa significherà il conflitto per la tenuta di Putinland e come cambierà ora l’opposizione interna? «Per quanto tragica, la guerra in Ucraina segnerà una svolta nella politica e nella società russe», risponde Wolkow. «La nostra società è ora matura per la democrazia e i cittadini russi se la meritano dopo tutte le catastrofi vissute dall’inizio dell’Unione Sovietica ad oggi. E iniziate proprio in Svizzera, a Zurigo». La città da cui Lenin, da anni in esilio, partì il 9 aprile del 1917, in treno, dentro un vagone piombato scortato da soldati tedeschi, alla volta di San Pietroburgo. Con il sogno di instaurare la «dittatura del proletariato».