La più incredibile sceneggiatura politica del 2019 si è conclusa il 21 aprile con la vittoria del comico Vladimir Zelensky alle elezioni presidenziali in Ucraina, con un risultato da record: 73% contro il 24% del capo di Stato uscente Petro Poroshenko, che paga il prezzo di cinque anni di guerra con la Russia e una crisi economica che ha reso il più grande Paese d’Europa anche il più povero. Un voto trasversale che ha unito tutta l’Ucraina – l’unica regione ad aver preferito Poroshenko è stata la roccaforte nazionalista di Leopoli – superando le storiche divisioni tra Est e Ovest in un misto di rivolta antisistema, scontento socio-economico, rabbia per la corruzione dilagante e speranza in quel «Paese del sogno» ricco, moderno e europeo che Zelensky ha raccontato nella sua serie televisiva Il servo del popolo, in cui interpreta un professore di liceo che diventa presidente per caso.
Il 41enne attore, che ha iniziato nel cabaret amatoriale studentesco di Kriviy Rih per diventare uno dei volti più popolari dello spettacolo ucraino (la sua serie è stata anche acquistata da Netflix), ora riceve telefonate dai capi di Stato di tutto il mondo – Trump è stato tra i primi, mentre Putin si è rifiutato di inviare anche un messaggio di congratulazioni formale – e star dello spettacolo e dello sport ucraine. È stato votato in massa dai giovani e dalle regioni a maggioranza russofona, ma anche dai militari che non hanno perdonato a Poroshenko la gestione della guerra con la Russia (sulla quale gli uomini di Zelensky promettono un’indagine). Ma il trionfo – ha assorbito praticamente tutto il voto degli altri candidati al primo turno elettorale, sia russofoni che nazionalisti, mentre Poroshenko è riuscito a migliorare il suo risultato di soli cinque punti – comporta anche un fardello di aspettative cui sarà difficile rispondere.
Il nuovo presidente – la cui faccia appare ancora sui biglietti per i concerti del suo cabaret Kvartal 95 in vendita a Kiev – dovrà districarsi in un complesso sistema di clan politici e regionali, trattare con gli oligarchi – a uno dei quali, Igor Kolomoysky, nemico dell’ex presidente, è legato – e crearsi una coalizione nella Rada, dove fino alle elezioni del nuovo parlamento non può contare sull’appoggio di un suo partito. L’inevitabile negoziato – dopo una campagna elettorale molto aggressiva in cui ha paragonato il suo avversario a Putin e gli ha dato del cocainomane, Poroshenko gli ha già offerto il suo aiuto, ottenendo la promessa di un ministero – andrà però a scontrarsi con le attese giustizialiste degli elettori, e le riforme economiche e politiche saranno necessariamente frutto di un compromesso, in un sistema semiparlamentare dove il governo emerge dalla coalizione eletta.
Il dossier più scottante è però ovviamente il conflitto con la Russia, che Zelensky in campagna elettorale ha promesso di concludere al più presto, costringendo il Cremlino a restituire il Donbass e pagare la compensazione per i danni. A Mosca restano prigionieri 24 marinai ucraini, il negoziato di Minsk è in stallo ormai da anni e in concomitanza con le elezioni la Russia ha promesso di cancellare parte delle forniture energetiche a Kiev. Nonostante i seguaci di Poroshenko avessero accusato Zelensky – di origini ebraiche, di lingua madre russa e originario dell’Est russofono – di essere il «candidato di Putin», Mosca per ora ribadisce di non considerarsi controparte del conflitto e quindi di non voler trattare con Kiev, del cui governo non riconosce la legittimità, e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha ribadito che la questione della Crimea, annessa dai russi, «è chiusa per sempre».
I media russi hanno seguito da vicino la campagna elettorale ucraina, secondo le linee guida che impongono alla propaganda di ridicolizzare il Paese vicino e mostrare ai russi come vivono male quelli che hanno voltato le spalle a Mosca. Il deputato nazionalista Vladimir Zhirinovsky ha addirittura profetizzato in un talk show sul canale tv statale l’imminente pulizia etnica dei russi in Ucraina, con una conseguente guerra tra Russia e Nato.
Ma la discussione mediatica sulla campagna elettorale ucraina ha avuto anche un effetto inatteso: i russi si sono resi conto che nel Paese che hanno sempre considerato un pezzo del loro impero si tengono elezioni libere, con dibattiti televisivi, violente critiche e accuse al governo, e la sconfitta finale del leader al potere, così come dei suoi predecessori (in quasi trent’anni di indipendenza Zelensky è il sesto di una serie molto eterogenea di presidenti ucraini). Uno spettacolo impensabile in Russia, e non è un caso che il primo russo a congratularsi «con l’Ucraina e gli ucraini per le libere elezioni» sia stato Alexey Navalny, il leader dell’opposizione che attraverso i suoi canali Internet ha diffuso in diretta il dibattito finale tra i due contendenti alla vigilia del ballottaggio.
La propaganda russa ha dipinto la svolta dell’Ucraina verso l’Europa come un «golpe nazista» e ha fatto appello allo «spirito russo» da opporre al «nazionalismo ucraino». Avere come presidente del Paese vicino e nemico un giovane brillante, che parla russo, che ha sconfitto il presidente in carica accusandolo di corruzione e che proclama l’entrata nell’Ue come obiettivo nazionale toglie a Vladimir Putin il monopolio sulla identità russa inestricabilmente legata al rifiuto della democrazia liberale, e apre un’alternativa. Il primo messaggio di Zelensky è stato rivolto infatti agli ex concittadini dell’ex Urss: «Guardate l’Ucraina, tutto è possibile».