La Francia non esercita più nessuna influenza nel Mali, una delle sue ex colonie. A metà agosto l’ultimo soldato francese ha lasciato il territorio del Paese africano, chiudendo una pagina ingloriosa della recente politica estera di Parigi. Una pagina che all’inizio registrò alcuni successi nella lotta contro il terrorismo, ma che in seguito fu caratterizzata dalle incomprensioni e dalle rivalità fra le due capitali, e infine sfociò nell’espulsione dal Mali dell’ambasciatore francese e nella rottura delle relazioni diplomatiche bilaterali. Tutto cominciò nel 2013. I gruppi terroristici avevano occupato la parte settentrionale del Mali e minacciavano di occupare anche la capitale Bamako, nonché di conquistare tutto il potere. Il governo di allora chiese aiuto alla Francia e lo ottenne. Parigi avviò in tempi brevi l’operazione «Serval», ossia l’invio di una forza multinazionale a guida francese, su mandato delle Nazioni Unite. All’inizio i soldati inviati furono tremila; poi divennero cinquemila e l’operazione fu chiamata «Barkane». I militari vennero accolti con entusiasmo dalla popolazione e con ripetuti festeggiamenti. Nel febbraio del 2013, l’allora presidente François Hollande, in viaggio nel Mali, venne applaudito nelle vie di Bamako e dichiarò che stava vivendo il più bel giorno della sua vita politica.
L’accoglienza festosa, però, non durò molto tempo. L’attività dei terroristi non cessò, i rapporti tra i militari francesi e le autorità maliane divennero tesi e la popolazione, condizionata dalla propaganda del Governo, cominciò a non più sopportare la presenza dei militari stranieri. Nel 2020 ci fu un primo colpo di stato militare, seguito da un secondo colpo di stato militare, avvenuto nel maggio del 2021. I due putsch diedero ulteriore fuoco ai rapporti tra i nuovi dirigenti maliani e il Governo francese, e portarono all’espulsione dell’ambasciatore di Parigi, nonché alla decisione dell’Esagono di ritirare tutti i militari dal territorio maliano.
Dietro al progressivo deterioramento dei rapporti tra la Francia e il Mali, e alla loro rottura diplomatica, si annidano rivalità geostrategiche che mettono in primo piano la Russia di Putin e che si estendono a tutti i principali Paesi del Sahel, dal Mali al Niger, dalla Mauritania al Ciad e al Burkina Faso. I militari che sono al potere a Bamako hanno concluso accordi con i mercenari del gruppo Wagner che, come è noto, sono finanziati dal Cremlino. Si calcola che un migliaio di questi mercenari sia presente in Mali. Sono molto attivi, non soltanto militarmente, ma anche con le campagne di disinformazione e con vari tentativi di nuocere alle potenze rivali della Russia, agendo con i media sulle popolazioni locali. Il gruppo Wagner è presente nella Repubblica Centrafricana, nel Sudan e in Libia. Si è installato nel Mali e adesso tenta di fare la stessa cosa nel Burkina Faso. La Russia sta perseguendo una strategia di influenza aggressiva in questa parte del Continente africano. Lo fa, oltre che appoggiandosi sul gruppo Wagner, anche concludendo accordi militari con più Stati e usando strumenti informativi come il canale televisivo «Russia Today».
Mosca non ha molto da offrire sul piano finanziario e commerciale, ma primeggia su quello militare e degli armamenti. La Russia è il primo fornitore di armi al Continente africano. E la volontà di «conquista», dimostrata dai dirigenti del Cremlino, ha già raccolto qualche frutto a livello diplomatico. Per esempio lo scorso 2 marzo, quando l’Assemblea generale dell’Onu votò una risoluzione che denunciava l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, su 54 Stati africani, 17 si sono astenuti e una decina non ha partecipato al voto. Anche la presenza della Cina in Africa pone problemi alla Francia e ai Paesi occidentali che operano nel Continente. Pechino è il primo partner commerciale del Continente africano, un partner ben più importante degli Stati Uniti o dell’Unione europea. Le aziende cinesi sono molto attive e godono di un forte appoggio da parte dei governanti cinesi. Numerosi e importanti sono stati gli investimenti effettuati finora, per esempio nei trasporti, nelle vie di comunicazione marittime e terrestri, o da parte di un colosso tecnologico come Huawei nelle infrastrutture digitali locali. Anche sul piano della propaganda la Cina si è attivata, con una rete di giornalisti corrispondenti e la presenza sul Continente di una sessantina di istituti Confucio. Con la sua politica aggressiva di penetrazione, la Cina si è così creata uno spazio che le consente di guardare al futuro con ottimismo e che, probabilmente, le permetterà di rafforzare ulteriormente la sua presenza in Africa.
Intanto la Francia, dopo il ritiro dal Mali, ha rafforzato la sua presenza militare nel Niger e continuerà a svolgere attività di antiterrorismo. Parigi ha dichiarato di voler intervenire anche nei Paesi vicini al golfo di Guinea ossia Ghana, Benin, Nigeria, Camerun. Come ex potenza coloniale, la Francia vuol mantenere la sua presenza nella regione, per tentare di salvaguardare la sua influenza storica. Ci riuscirà? Il fallito intervento nel Mali le consentirà di trarre i dovuti insegnamenti? Il Sahel è un terreno fertile per le tensioni e i conflitti. Il livello di sviluppo della regione è uno dei più bassi nel mondo. Il 40% della popolazione vive sotto la soglia della povertà e la metà non ha accesso all’acqua potabile. Più della metà della popolazione ha meno di 30 anni. Due milioni di persone hanno dovuto fuggire le violenze e abbandonare le loro case. In questo contesto la presenza di militari stranieri, soprattutto se provengono da una ex potenza coloniale, non aiuta a risolvere i problemi. Crea antipatie e risentimenti, che vengono sfruttati dai gruppi terroristici e dalle dittature militari. Altre vie meritano ora di essere approfondite e seguite. Per esempio quella di impiegare i militari soltanto come appoggio alle richieste dei Governi sul posto e, soprattutto, la via che deve portare ad assegnare più mezzi e più aiuti concreti occidentali allo sviluppo e al futuro delle popolazioni locali.