Il ritorno di Lula

America Latina - Diversi paesi hanno già virato a sinistra, se in ottobre dovesse seguirli il Brasile l’ondata izquierdista travolgerebbe il continente
/ 21.02.2022
di Angela Nocioni

Tira aria di virata a sinistra in America latina. A fine 2022 ben sei governi, dei sei Paesi che insieme producono il 90 per cento del Pil continentale, potrebbero essere schierati decisamente a sinistra. Quattro già lo sono. Cile, Argentina, Perù e Messico, con ovvie e consistenti differenze, hanno al momento presidenti di sinistra più o meno radicali.

La svolta politica definitiva è attesa per le elezioni brasiliane e colombiane. In Brasile, dove si vota ad ottobre, è favorito l’ex presidente Lula da Silva. In Colombia, primo turno il 29 maggio, i sondaggi danno per vincente l’izquierdista Gustavo Preto.

A questa inversione di tendenza continentale non sono estranei gli effetti di due anni di emergenza Covid sulle crisi sociali in incubazione.

L’allargarsi della forbice tra ricchi e poveri e la fragilità dei sistemi sanitari e scolastici non hanno retto l’impatto della pandemia e hanno creato un terremoto economico e sociale.

È cresciuta la parte di popolazione che chiede protezione allo Stato e per questo si butta (o ritorna) a sinistra.

Esplosioni sociali e vere e proprie rivolte erano avvenute già prima del diffondersi dell’epidemia in Colombia, in Nicaragua, in Cile, in Bolivia e nella Repubblica domenicana. Nei mesi della prima emergenza Covid rivolte ci sono state anche in Perù, a Cuba, ad Haiti e in Guatemala.

La pandemia ha avuto un impatto devastante sulle fasce sociali più fragili. Il lavoratori in nero e i precari – ossia la sostanziale maggioranza dei lavoratori latinoamericani – sono usciti frantumati dall’emergenza.

Nell’incertezza economica globale ha ripreso quota la eterna illusione latinoamericana, l’idea che la vendita di materie prime possa sempre essere l’ancora di salvataggio generale. A svantaggio della economia produttiva. La terribile e mai risolta «maledizione delle materie prime».

Secondo la Cepal, la Commissione economica per l’America latina dell’Onu, le esportazioni di materie prime sono ormai in America latina quattro volte superiori a quelle del resto del mondo, idem per l’estrazione e vendita all’estero di minerali. Ciò non aiuta lo sviluppo e nei periodi di crisi impoverisce chi già vive in povertà perché riduce le opportunità di lavoro.

Gli ospedali mal ridotti negli ultimi due anni sono collassati e chi ha pagato più cara l’assenza di una reale sanità pubblica sono stati i poveri.

Le scuole hanno chiuso quasi ovunque ed è stata questa forse la misura che ha colpito negativamente in forma quasi uguale tutti i ceti sociali: 72 milioni di alunni in America latina al momento hanno la frequenza scolastica ancora sospesa. In nessuna altra area del mondo le scuole sono state chiuse tanto a lungo.

In questi anni di incertezza e caos il Brasile di Bolsonaro ha assistito all’espandersi dell’emergenza Covid ormai fuori controllo e al costante deteriorarsi del suo tessuto sociale, oltre che a una crisi economia che non dà tregua. È proprio in Brasile che si attende la più esplicita e clamorosa inversione di tendenza politica.

Se nelle elezioni di ottobre si verificherà quel che prevedono i sondaggi, dopo una campagna elettorale all’ultimo sangue tra estrema destra e vecchia sinistra si andrà al ballottaggio tra l’uscente Jair Bolsonaro, un pistolero ultraconservatore che ha tentato di superare la propaganda di Trump a destra, e il redivivo ex presidente Lula da Silva, riferimento politico dell’intera area progressista latinoamericana. Secondo l’ultimo sondaggio di Datafolha di dicembre al ballottaggio vincerebbe Lula con il 58%. Sarà in ogni caso uno scontro epico, una corsa tra due candidati davvero radicalmente opposti ed una campagna totalmente polarizzata. Un terzo nome pesante in grado di creare suspence al primo turno al momento non c’è. Il più popolare tra i possibili candidati rimane Sergio Moro, l’ex giudice che fece arrestare Lula alla vigilia delle ultime presidenziali alle quali l’ex presidente era dato come favoritissimo. Moro era stato poi nominato superministro della giustizia da Bolsonaro appena eletto, che non avrebbe mai vinto se Lula non fosse stato tolto di mezzo da quel provvidenziale arresto. Moro, superstar del governo Bolsonaro, ha poi voltato la faccia al suo presidente, se ne è andato dal governo e da mesi sta acquattato in attesa di capire come capitalizzare il consenso popolare di cui ancora gode. Datafolha lo dà come terzo al primo turno con il 9%. Dietro di lui vengono il governatore Joao Doria e l’ex ministro Ciro Gomes.

L’intera America latina guarda a questo appuntamento elettorale perché è lì che si giocherà la parte sostanziale della partita dei prossimi equilibri regionali.

Lula sta preparando un grande attacco per scommettere di poter vincere già al primo turno, miracolo che finora in Brasile è riuscito solo una volta all’ex presidente Fernando Henrique Cardoso. La mossa geniale di Lula, la carta che se giocata potrebbe permettergli di annettere tutta l’area di destra moderata oltre che di centro, è in preparazione.

Mossa difficile ma strategica: presentarsi agli elettori con a fianco il suo ex rivale, l’ex governatore Geraldo Alckmin. L’uomo forte di Sao Paulo, quello che ha sempre coagulato l’appoggio della finanza e delle imprese sottraendolo in gran parte al Pt lulista. Faceva parte del popolare e dalla sinistra sempre detestato Psdb, il partito tradizionalmente alternativo al Pt di Lula.

Alckmin intanto dal Psdb se ne è andato. Potrebbe essere il segno che la sua disponibilità a Lula l’ha già data. Andasse in porto il ticket per la candidatura, sarebbe la coppia politica del secolo. L’ex sindacalista simbolo della sinistra che si presenta con a fianco un vice popolare quanto lui ma a destra. Comunque vada, sarà un grande spettacolo di politica dispiegata. E comunque vada, segnerà i prossimi anni della regione. C’è un detto che funziona sempre nell’analisi politica latinoamericana: guarda da quale parte va il Brasile e scopri dove andrà poi in seguito il resto dell’America latina.