Il rischio di uno scontro diretto

Kaliningrad - La crisi apertasi con il blocco parziale delle merci da e per l’exclave russa porta Biden e Putin a chiarire le rispettive intenzioni geostrategiche, sotto lo minaccia di una guerra atomica
/ 27.06.2022
di Lucio Caracciolo

Il blocco parziale del transito di merci russe via Lituania verso Kaliningrad, exclave russa sul Baltico, è una svolta nella guerra non troppo indiretta fra Mosca e Washington, finora concentrata in Ucraina. La decisione di Vilnius, legittimata come esecuzione di sanzioni stabilite dall’Unione Europea, è stata accolta al Cremlino da proteste non solo retoriche. È chiaro che la Russia reagirà in qualche modo, non sappiamo ancora quale. Ma se la rappresaglia russa dovesse rivelarsi anche militare, il rischio che lo scontro fra Usa e Federazione Russa diventi diretto sarà concreto. L’escalation verso uno scambio nucleare non può essere esclusa. Anzi, per un caso del genere è contemplata tanto nella pianificazione Nato quanto in quella russa.

Questo è il livello di rischio della crisi di Kaliningrad. Per ora, un’ipotesi di scontro frontale fra l’Alleanza a guida Usa e la Russia, nel caso affiancata dalla Bielorussia in quanto sua propaggine confinante con la Lituania, non appare probabile. Ma dalla guerra in corso abbiamo imparato che certi meccanismi, una volta messi in moto e alimentati da propagande esagitate, possono svilupparsi in maniera quasi autonoma dalla volontà dei decisori. Le guerre qualche volta sono stabilite per programma, più spesso accadono.

Kaliningrad è la città più occidentale della Russia. Fino al 1945 era la città più orientale della Germania. Basti questa localizzazione storico-geografica per segnalarne il rilievo. Già capitale prussiana, questa città fondata dai cavalieri teutonici nel XIII secolo con il nome di Königsberg – poi celebre quale patria di Kant – è stata contesa nel tempo dalle principali potenze dell’area: appunto la tedesca, la russa e la polacco-lituana. Quando l’Armata Rossa riuscì a espugnarla, pochi giorni prima della capitolazione della Wehrmacht hitleriana, Stalin decise di annettersela. Con il consenso di inglesi e americani. Il dittatore di origine georgiana rivendicò Königsberg, fra l’altro, in quanto unico porto russo affacciato sul fronte settentrionale che fosse libero dai ghiacci tutto l’anno (non proprio vero, ma sufficiente a convincere Churchill e Truman, che alla conferenza di Potsdam si dissero d’accordo).

Con il crollo dell’Urss la città ridenominata Kaliningrad (città di Kalinin) in onore dell’omonimo dirigente bolscevico si trovò, in quanto afferente alla ex Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, trasmutata in una notte in Federazione Russa, isolata dalla madrepatria. Con l’ingresso di Polonia e baltici nella Nato, Kaliningrad si è vista chiudere l’accesso diretto a Mosca. Stretta fra Lituania e Polonia, il suo legame con il resto della Russia resta affidato ai collegamenti marittimi e alla ferrovia che da Mosca, via Bielorussia e Lituania, porta allo scalo baltico. L’isolamento e la collocazione geostrategica hanno spinto Putin a fare di Kaliningrad una fortezza ipermilitarizzata, base della Flotta del Baltico. Qui sono collocati fra l’altro potenti missili Iskander e, molto probabilmente, bombe atomiche.

La crisi in corso attorno a Kaliningrad costringerà Russia e America a chiarire (e a chiarirsi) meglio le rispettive intenzioni. Al momento, sappiamo che Putin intende disarticolare la Nato, riaffermare la Russia come grande potenza, esporsi avanguardia di un vasto fronte antiamericano o comunque critico degli Stati Uniti, d’intesa (relativa) con la Cina, esteso anche all’India e a diversi paesi dell’ex Terzo Mondo. Biden, o chi per lui, intende invece sfruttare questa occasione per indebolire la Russia. E per conseguenza colpire la Cina in quanto avversario numero uno allineato con Mosca. Come concretamente russi e americani possano realizzare questi obiettivi di massima è oggi impossibile stabilire. Le due potenze sembrano muoversi opportunisticamente, pronte a deviare dai piani, se ce ne sono di davvero determinati.

Il rischio è che in questo percorso insanguinato finiscano per perdersi. O per dover reagire a sorprese, a incidenti. Il problema di avere risorse troppo limitate per ambizioni troppo alte (Russia) o di dover fare i conti con una profonda crisi identitaria dagli effetti geopolitici imprevedibili (Stati Uniti) rende altamente probabile che Putin e Biden si trovino a scegliere fra opzioni non volute e comunque sub-ottimali. Insomma, dovranno improvvisare. Una cosa è farlo in tempo di pace, altra mentre le armi crepitano.

Nel duello russo-americano le prime vittime sono gli ucraini. Subito dopo, noi altri europei. La guerra espone le profonde faglie che ci dividono. Segnate da interessi, storie, valori specifici che non possono essere ridotti a una linea comune. Abbiamo scelto la strada finora poco efficace delle sanzioni. Meglio: inefficace se il senso è di far cambiare idea a Putin e costringerlo a una pace ingloriosa; efficacissima nell’indebolire le nostre economie e la stessa tenuta sociale e istituzionale dei nostri paesi. D’altronde, quando non puoi né vuoi fare la guerra e non puoi non far nulla – anche se qualcuno lo vorrebbe – la classica terza via è quella delle sanzioni. E della retorica. Siamo decisamente su un altro pianeta.