Il rilancio dell’energia atomica

L’imprevista messa in discussione del gas russo ha fornito un nuovo argomento a chi vede nel nuclearel’unica soluzione praticabile per continuare a far marciare il pianeta negli anni della transizione
/ 28.03.2022
di Alfredo Venturi

La guerra d’Ucraina chiama in causa due volte l’atomo. Lo stallo delle operazioni militari ha generato un’ipotesi terrificante, che la Russia per trarsi d’impaccio mobiliti le armi nucleari. Ma c’è anche un’altra prospettiva, molto meno apocalittica ma non per questo meno controversa: il rilancio del nucleare civile come risposta alle cupe prospettive aperte dall’inasprimento della crisi energetica provocato dal conflitto. Il dibattito è particolarmente vivace in Francia dopo che il presidente Emmanuel Macron ha annunciato l’intenzione non solo di prolungare la vita dei reattori esistenti ma anche di costruire sei nuove centrali. Le polemiche sono stimolate dall’imminenza del voto presidenziale e dal desiderio dei candidati di catturare gli umori popolari. L’aspetto singolare di questa disputa consiste nel fatto che i fautori e gli oppositori del nucleare civile si aggrappano entrambi all’argomento, assai sentito nell’opinione pubblica francese, della sovranità energetica.

Macron sostiene che la Francia non può continuare a dipendere dalle forniture di metano russo e dunque al momento non c’è alternativa allo sviluppo delle centrali elettronucleari. Gli ecologisti e l’opposizione di sinistra segnalano che le ingenti quantità di uranio necessarie per far funzionare i reattori vengono in buona parte importate da ex repubbliche sovietiche gravitanti nell’orbita russa, come il Kazakistan e l’Uzbekistan. Dunque la sovranità energetica va cercata altrove: nel vento, nel sole, nell’idroelettricità, nella geotermia, nelle maree, tutte risorse che evidentemente non occorre procurarsi oltre frontiera. La risposta di chi la pensa diversamente è che per arrivare a questo occorre molto tempo e dunque la domanda di elettricità resterebbe insoddisfatta troppo a lungo: di qui la necessità di puntare sull’energia prodotta dall’atomo.

In realtà si parla di questo possibile rilancio ben da prima che la guerra irrompesse nell’attualità con tutte le sue angoscianti prospettive. Il nucleare era considerato da molti la sola possibile risposta alla coesistenza di due fenomeni: la crescente domanda di elettricità e la necessità di ridurre il ricorso ai combustibili inquinanti, in primo luogo carbone e petrolio. È vero che il ricordo della tragedia di Chernobyl, riproposto dalle cronache ucraine che ci parlano di combattimenti attorno alla centrale dismessa, e quello più fresco del disastro di Fukushima rendono impopolare l’energia ricavata dalla fissione, ma si assicura che la tecnologia ha compiuto decisivi passi avanti in materia di sicurezza. Dunque l’atomo produce senza rischi energia pulita. Replica degli ecologisti: è vero che i reattori non emettono fumi tossici, ma non è così facile tenere sotto controllo la radioattività, per non parlare dell’ingombro delle scorie…

Sono attive complessivamente sul pianeta 440 centrali elettronucleari, disseminate in una trentina di Paesi, che producono un decimo dell’energia elettrica consumata nel mondo. Dopo Chernobyl la costruzione di nuovi impianti è andata scemando, ma non nei Paesi dalle economie in rapida crescita come l’India e la Cina. Altri hanno rinunciato al nucleare civile come l’Italia o hanno programmato di farlo come la Germania, dove si è deciso di mantenere in attività le centrali senza rinnovarle né sostituirle alla loro scadenza tecnica. Con l’incalzare della crisi climatica e gli impegni assunti da quasi tutti i Paesi a ridurre l’immissione nell’atmosfera di gas capaci di accentuare l’effetto serra e dunque di accelerare il surriscaldamento planetario, si è fatta strada in Europa e altrove una strategia per così dire binaria: da una parte investire nelle fonti rinnovabili, dall’altra integrare con l’impiego del metano, inquinante sì ma molto meno del petrolio e soprattutto del carbone, la domanda di energia nei tempi necessariamente lunghi della transizione verde.

Il metano, dunque, è stato scelto come risorsa provvisoria in attesa del giorno, che ci si augura reale e non utopistico, in cui finalmente il mondo potrà funzionare facendo ricorso alla sola energia che non inquina. Ma poi è arrivata la guerra d’Ucraina, e a questo punto la dipendenza di tanti Paesi dalle forniture provenienti dalla Russia deve fare i conti con i noti problemi politici e strategici. L’imprevista messa in discussione del gas russo ha fornito un nuovo argomento a chi vede nel nucleare l’unica soluzione praticabile per produrre l’energia necessaria a far marciare il pianeta negli anni della transizione. L’urgenza di trovare comunque fonti temporanee ha indotto alcuni fra i Paesi che si sono impegnati a ridimensionare le emissioni nocive a riscoprire addirittura le centrali a carbone, riproponendo così nell’emergenza il più inquinante dei combustibili fossili. E così la lotta contro la crisi climatica viene rallentata mentre il punto di non ritorno è sempre più vicino.

Alla base della nuova strategia, sempre più largamente condivisa anche al di fuori della Francia e dell’Europa, figura dunque un matrimonio non certo d’amore fra l’energia ricavata dall’atomo e le rinnovabili. Ma i tempi previsti sembrano contraddire l’efficacia di questa soluzione: infatti anche l’applicazione della formula nucleare, non diversamente dalla copertura della domanda di elettricità con le sole fonti sostenibili, richiede molti anni. Poiché si tratta di materia assai delicata per la sensibilità delle opinioni pubbliche, nei Paesi democratici il rilancio della produzione di energia attraverso la fissione atomica presuppone il consenso popolare. Per esempio in Francia sarà preceduto da un’ampia consultazione nazionale nella seconda metà di quest’anno, cui seguirà un approfondito dibattito parlamentare nel 2023.

Intanto i progettisti sono all’opera, i lavori per la costruzione delle nuove centrali francesi verrebbero avviati nel 2028, il primo reattore entrerebbe in attività sette anni più tardi. Bisognerà dunque aspettare tredici anni, un intervallo durante il quale il prolungamento della vita delle centrali esistenti dovrebbe garantire un adeguato approvvigionamento energetico. Ma c’è chi ne dubita e dunque il problema rimane aperto. In ogni caso si studia il modo di estendere l’operatività dei vecchi reattori oltre i 50 anni, garantendo che nessuna centrale sarà fermata se non per ragioni di sicurezza. Nonostante questa rassicurazione insorge l’intransigenza ecologista: colorare di verde il nucleare, dicono i difensori dell’ambiente, non è che un ingannevole espediente.