«Sono la prima, ma non sarò certo l’ultima. Perché ogni bambina che stasera è davanti al televisore vede chiaramente che questo è il paese delle possibilità». Così, dando un seguito ideale al discorso fatto quattro anni fa da Hillary Clinton per accettare la sconfitta alle elezioni presidenziali, Kamala Harris, neo-eletta vice presidente degli Stati Uniti d’America, commentava la sua vittoria. Evocando le bimbe d’America che, per la prima volta, vedono concretizzarsi il sogno di una di loro. L’ormai consunto ma sempre vivo sogno americano in cui, proprio come in un film, una bambina con radici afro-americane e asiatiche figlia di immigranti può diventare vice presidente e un giorno anche, perché no, presidente. E poco importa, nella retorica di stampo holliwoodyano che accompagna (quasi) sempre l’elezione di un presidente americano che rompa uno qualunque dei molti e rigidi schemi di cui la società statunitense è provvista, che la favola della bimba di colore figlia di immigranti non sia del tutto reale.
Poco importa che i genitori di Kamala siano arrivati in America non attraverso il deserto ma con un’ammissione all’università di Berkeley, che siano entrambi professionisti prestigiosi e che Harris abbia frequentato alcune tra le migliori scuole del paese. Il sogno americano ha le sue regole, e la realtà ha molto meno appeal della fantasia. Definita da Obama (costretto poi a rimangiarsi la dichiarazione perché «sessista») «il più bel procuratore distrettuale d’America» Harris è difatti sotto ogni aspetto un membro dell’estabilishment.
Ha alle spalle una carriera politica di tutto rispetto e ha infranto uno dietro l’altro una lunga serie di soffitti di cristallo. È molto vicina agli Obama, era molto amica del figlio di Joe Biden e sua sorella Maya ha curato quattro anni fa la campagna presidenziale di Hillary Clinton. Figlia di un economista giamaicano e di una ricercatrice oncologica di Chennai, Kamala si è sempre definita «una nera americana». Ricordandosi delle radici indiane, dicono a Delhi, soltanto nel momento in cui è stata scelta come vice di Biden e aveva bisogno del voto degli asiatici.
Si era presentata alle primarie come candidata alla presidenza, ma la sua campagna elettorale è stata un fiasco: ritenuta non abbastanza progressista dalla sinistra estrema e troppo di sinistra dai moderati, sembrava non avere più speranze fino a che è stata «ripescata» da Biden. Una scelta strategica che ha pagato i suoi dividendi in termini di voti. Kamala aveva difatti tutte le carte in regola per fare da contraltare a Biden: è donna, di colore, con radici asiatiche. E le debolezze che avevano pesato nella sua campagna sono diventate in un diverso contesto altrettanti punti di forza. La Harris piace alla sinistra estrema (che invece ha votato Biden a denti stretti) perché è donna, per le sue posizioni in materia di aborto, per il contributo dato al movimento MeToo nel mettere alla gogna il senatore Kavanaugh e per il suo sostegno al movimento Black Lives Matter. Ma è gradita anche ai più moderati per i suoi contatti nel gotha del partito e per il sostegno dato, nei giorni da procuratore, alla polizia e ad alcuni tycoon nei guai, oltre che per la sua difesa strenua di legge e ordine.
Al netto della retorica, però, e della sacrosanta celebrazione del fatto che una donna sia entrata per la prima volta alla Casa Bianca da vice-presidente, la vittoria della Harris crea non pochi problemi politici tra gli stessi democratici. Sono in molti a ritenere difatti che Biden, candidando Kamala, abbia firmato una specie di patto col diavolo. È stata Kamala difatti, e non Biden, a incassare sostegno e voti di quanti ritenevano Biden inaccettabile come candidato democratico. E cioè, i voti dei sostenitori di Bernie Sanders ed Elisabeth Warren, e i fan della cosidetta Squad, la squadra formata da quattro delle deputate più gettonate dai giovani democratici: Alessandra Ocasio-Cortez, Ilhan Omar, Rashida Tlaib e Ayanna Pressley. Che adesso reclamano, come si dice, la loro libbra di carne.
Secondo molti analisti, Biden è destinato difatti ad essere una specie di presidente-ombra manovrato da remoto dall’ala più estrema del suo partito. Un presidente anziano, di salute (si dice) precaria e destinato a essere sostituito quanto prima da Kamala. La Squad, via Twitter, a mezzo stampa e per lettera, ha già cominciato a fare pressione su Biden perché la sua squadra di governo sia composta da membri della sinistra estrema e perché vi trovino posto sia Sanders che la Warren: le cui istanze di giustizia sociale, di welfare e di green deal, portate avanti dalla Ocasio-Cortez, sono sacrosante e condivisibili da una vasta maggioranza.
Meno condivisibili, e destinate a creare non poco scompiglio, sono invece le istanze di individui come Ilhan Omar. Una signora che ha pubblicamente definito l’11 settembre soltanto «qualcosa fatto da qualcuno», che nega di fatto l’esistenza di estremisti islamici gridando all’islamofobia di fronte a ogni critica; che è pesantemente compromessa con il presidente turco Erdogan e con la dirigenza del Qatar da cui ha preso varie mazzette e che porta avanti un’agenda di stampo islamista benedetta dai suddetti signori e dal Pakistan. O le istanze di Rashida Tlaib che, di orgini palestinesi, ha messo in chiaro, ad esempio, che non gradisce affatto l’Abraham Agreement, lo storico accordo di recente firmato tra Israele e alcuni Stati arabi con la benedizione dell’amministrazione Trump. Signore che criticano Obama per essere troppo moderato, se non peggio, tanto per capirsi.
E se Biden, anziano e (dicono) malato ha giurato di essere il presidente di tutti, la Squad che sgomita alle spalle di Kamala non ha alcuna intenzione di fare sconti all’agenda, che definiscono «progressista e liberale», improntata alla forma più astrusa e deleteria di politically correct a oltranza. E rischiano, in un paese spaccato a metà dal risultato elettorale e da questioni ideologiche sempre più polarizzate ed estreme, di far pagare il «politically correct» agli elettori altrettanto caro della follia egocentrica e del delirio di onnipotenza di Donald Trump.
Il presidente ombra
Ritratto - Per gli analisti il ruolo di Kamala Harris alla Casa Bianca pare già oggi molto più di quello di una vice
/ 16.11.2020
di Francesca Marino
di Francesca Marino