Il Ppe sospende il Fidesz di Orban

Ungheria – Inaccettabili le sue campagne antisemite, gli attacchi alla Commissione europea e la caccia alle streghe sui migranti
/ 25.03.2019
di Alfredo Venturi

Non è bastato a Viktor Orban lo stratagemma escogitato per convincere Manfred Weber. Quest’ultimo, uomo forte della Csu, il partito conservatore bavarese «gemello» della Cdu di Angela Merkel, era andato a Budapest per fare il punto sulla richiesta, da parte di quattordici dei cinquantasei componenti il Partito popolare europeo, di espellere il Fidesz (Unione civica ungherese), il partito del controverso primo ministro. Era accusato di una politica tutt’altro che liberale, in particolare di una posizione nei confronti del tema migratorio lontanissima dalla priorità del diritto e dei diritti tradizionalmente cara al Ppe.

Per correggere la sua immagine agli occhi di Weber, Orban aveva fatto coprire i grandi pannelli che nelle vie e nelle piazze della sua capitale manifestavano le ragioni delle sue scelte. Raffiguravano due personaggi da sempre bersagli polemici del leader ungherese: Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione europea (e autorevole personalità del Ppe) convinto europeista e promotore di una politica di accoglienza dei migranti, e George Soros, il miliardario americano di origine ebraica e magiara al quale Orban attribuisce un proposito che più devastante non potrebbe immaginare: favorire, incoraggiando e finanziando i flussi migratori, l’instaurarsi in Ungheria e in Europa di una maggioranza musulmana. Vorrebbe colpire a morte l’Europa cristiana.

Fatto sta che Weber, esponente dell’ala conservatrice del Ppe e candidato a prendere il posto di Juncker al vertice dell’esecutivo di Bruxelles, ha sperato fino all’ultimo di salvare il Fidesz. In fondo su quei pannelli sbiancati non c’era nulla di sconveniente, e Orban aveva promesso di moderare i toni. Ma il suo proposito si è realizzato soltanto in parte: il fronte liberale dei popolari, particolarmente i delegati del Benelux e quelli dei paesi scandinavi, tenendo conto dell’imminenza del voto di maggio per il rinnovo del parlamento europeo e dunque della necessità di evitare una scelta lacerante, si è dovuto accontentare di una misura più blanda. 

Niente espulsione: la partecipazione di Orban al Ppe è stata semplicemente sospesa, più precisamente si tratta di una sospensione concordata, in attesa della pronuncia di un comitato di tre saggi attesa per il prossimo autunno, dunque a distanza di sicurezza dalle imminenti elezioni. Nel frattempo il primo ministro, se vuole evitare l’espulsione, dovrà darsi una calmata, La misura è stata adottata a larghissima maggioranza: precisamente da 190 dei 194 delegati che hanno preso parte all’assemblea del Ppe.

Si tratta comunque di una sconfitta per il campione ungherese dell’intolleranza, che fino all’ultimo pareva convinto di poter superare l’insidia grazie a due fattori: l’indiscutibile popolarità non soltanto in Ungheria del suo approccio alla questione migratoria, e il fatto che si vota nell’Unione ormai fra poche settimane, e quindi si poteva prevedere una certa prudenza pre-elettorale. Per questo nell’accettare, su richiesta di Weber, di rivolgere generiche scuse ai partiti fratelli che aveva definito «utili idioti» ha tenuto duro sulle sue posizioni autoritarie. Non era soltanto l’intransigente chiusura ai migranti a nutrire la dilagante avversione per Orban e la sua visione del mondo: hanno avuto un peso anche la decisione di modificare a proprio vantaggio la legge elettorale e l’offensiva contro le organizzazioni non governative che ovviamente lo contrastano (e che secondo lui sono foraggiate dalla sua bestia nera, il finanziere Soros). Soprattutto nella liberalissima Europa del nord, la coesistenza nello stesso raggruppamento con simili posizioni era considerata impossibile.

La decisione di sospendere il Fidesz è un colpo per quanti, come il leader italiano della Lega, il vicepresidente del consiglio e ministro dell’interno Matteo Salvini, contavano su una sterzata a destra del Partito popolare, favorita dal prevedibile successo elettorale delle forze sovraniste. Salvini puntava sull’alleanza post-elettorale con un Ppe nel quale le componenti più conservatrici, compreso il partito di Orban, facessero prevalere una linea di maggiore autonomia degli Stati membri rispetto alle istituzioni comuni, e un approccio di radicale resistenza alla pressione migratoria. Dunque un Ppe pronto ad abbandonare la coalizione con i socialdemocratici: una vera e propria rivoluzione, quella sognata dal fronte sovranista, rispetto alla gestione Juncker. La sospensione di Orban evidentemente indebolisce questo scenario.

Con la loro decisione, anche se hanno accettato di limitarla alla sospensione senza arrivare a una vera e propria cacciata, i popolari mandano un segnale molto chiaro: comunque vadano le elezioni, si riduce a Strasburgo, e di conseguenza a Bruxelles, lo spazio per una riconversione sovranista del Ppe. Orban e il suo partito, nel limbo almeno fino all’autunno, non potranno partecipare all’elaborazione del risultato elettorale, dunque alla strategia delle alleanze, al varo della nuova Commissione, all’impostazione politica dell’Unione che uscirà dal voto di maggio.