Il potere russo perde molte libertà

Il caso Golunov – Arrestato e poi rilasciato il giornalista che indagava la corruzione a Mosca. Svolta senza precedenti di Putin costretto a cedere di fronte alle proteste della piazza
/ 24.06.2019
di Anna Zafesova

«Noi siamo Ivan Golunov»: tre prime pagine uguali dei tre quotidiani economici principali, andati a ruba in pochi minuti. Centinaia di persone sotto la sede centrale della polizia di Mosca, che si succedevano in picchetti solitari – l’unica forma di protesta spontanea concessa dalla legge russa – con cartelli «Libertà a Ivan Golunov». Milioni di post sui social network, anche di persone che fino a quel momento non si erano mai interessate alla politica. La mobilitazione, senza precedenti, ha ottenuto un risultato anch’esso senza precedenti: Ivan Golunov, reporter d’inchiesta del sito d’opposizione Meduza, accusato di spaccio di stupefacenti, è stato rilasciato dalla prigione ed è tornato a casa scagionato da tutte le accuse.

Non era mai successo prima che le autorità russe facessero marcia indietro, nemmeno per detenuti più illustri per i quali intervenivano governi e importanti Ong internazionali. Il caso di Golunov, che per Meduza indagava la corruzione a Mosca – prima dell’arresto stava preparando un’inchiesta sulle malversazioni nel business funerario della capitale – era iniziato in un modo classico: arresto con un capo d’accusa palesemente inventato, ma preso dal codice penale, proprio per tutelarsi da critiche di persecuzione politica. Un metodo utilizzato da anni dalla polizia russa, con i dissidenti illustri come l’oligarca Mikhail Khodorkovsky fino agli ambientalisti che protestavano contro la costruzione di dacie dei burocrati nelle riserve naturali: incriminazione per evasione fiscale, o una bustina di droga «rinvenuta» nelle tasche dopo l’arresto, e una condanna pesante, inflitta nonostante le proteste e le denunce dei difensori dei diritti umani nazionali e occidentali.

Con Golunov però la macchina si è inceppata. L’opinione pubblica russa si è riconosciuta proprio in un cronista onesto, che non era una star del dissenso liberale, non aveva una grande fama mediatica, non era affiliato esplicitamente a nessun partito o personaggio (pochi giorni prima, per l’arresto altrettanto clamorosamente ingiustificato del braccio destro di Alexey Navalny, Leonid Volkov, la solidarietà era stata molto meno diffusa). 

La solidarietà per Golunov ha travalicato i confini ristretti del salotto liberale di Mosca, e la fila di manifestanti che si avvicendavano sotto la sede della polizia di Mosca ha mostrato al mondo un nuovo volto della protesta: giovani, giovanissimi, troppo giovani per aver partecipato alle manifestazioni dell’inverno 2011 contro i brogli elettorali, una nuova generazione, t-shirt divertenti, tatuaggi d’autore, cartelli spiritosi disegnati a mano e spesso un sorriso offerto agli agenti di guardia. Che, a testimonianza di molti presenti, si sono mostrati spesso solidali e in conversazioni private hanno criticato i loro superiori per questo arresto così brutale, con tanto di fotografie false di sacchi di droga «trovati» nel monolocale di Golunov.

Questo è stato il secondo aspetto inedito della vicenda del giornalista, insieme a una mobilitazione senza precedenti. Il caso Golunov ha prodotto una spaccatura anche nell’establishment. A suo favore si sono espressi pubblicamente molti personaggi dei media e dello spettacolo finora molto leali al Cremlino. Tre quotidiani – «RBK», «Vedomosti» e «Kommersant» – abbastanza allineati al governo, e anzi finiti recentemente sotto accusa per aver occultato notizie sgradite alle autorità o cacciato giornalisti scomodi, sono usciti con prime pagine identiche di solidarietà al reporter arrestato. E dopo che la protesta ha continuato a montare, anche personaggi al vertice del potere, come il presidente del Senato Valentina Matvienko hanno esplicitamente criticato la polizia di Mosca.

Un caso senza precedenti che segnerà probabilmente una svolta nella politica russa. Una delle spiegazioni possibili del «lieto fine» per Ivan Golunov potrebbe essere un conflitto tra i vari clan al potere: pare che il giornalista avesse preso di mira un ufficiale dei servizi segreti, l’Fsb, implicato nel business funerario di Mosca. Ma soprattutto le autorità hanno mostrato di non sentirsi più abbastanza salde da ignorare la protesta. Il caso Golunov è arrivato alla fine di un mese nero per il governo russo. A maggio a Ekaterinburg la popolazione si è ribellata all’apertura del cantiere di una chiesa voluta dall’oligarca locale nel parco cittadino.

La protesta ha coinvolto centinaia di persone, che hanno buttato la recinzione del cantiere e si sono scontrate con la polizia e con i picchiatori dell’Accademia di arti marziali dell’oligarca. Dopo decine di arresti nella vicenda ha dovuto intervenire Vladimir Putin, e il cantiere è stato sospeso, segnando la fine di un altro caposaldo del sistema, l’intoccabilità del patriarcato ortodosso. «Meno chiese, più ospedali» era uno degli slogan più diffusi della protesta, segnale di un disagio sociale e economico sempre più diffuso.

Che però oggi sono un ricordo del passato: perfino gli istituti demoscopici filogovernativi assegnano al presidente solo il 31% di fiducia dei russi, dopo vette di 86% nel 2014. Un terzo è un numero più che cospicuo in un sistema democratico, ma in un regime che ha basato la sua forza su un consenso quasi unanime è un allarme rosso, come dimostrato anche dal moltiplicarsi di proteste locali, di cui quella nella capitale degli Urali è solo la più importante. A Shies, nel nord della Russia, gli abitanti hanno bloccato la ferrovia per impedire l’arrivo dei rifiuti da Mosca. Nella campagna di Penza gli abitanti hanno fischiato il governatore venuto a spiegargli che il loro conflitto con i rom locali era stato «istigato da agenti occidentali».

Allo stadio di Pietroburgo i fischi del pubblico hanno impedito alla vicepremier per il Welfare, Olga Golodez, di finire il suo discorso. Lo scontento è sempre più diffuso e palpabile, tra scioperi di medici, manifestazioni di insegnanti e insulti al governo sui social. Alle elezioni municipali di settembre i candidati del governo rischiano di perdere sia a Mosca che a Pietroburgo, dove Navalny ha aperto contro di loro una campagna serrata e ben organizzata. E molti candidati di Russia Unita, il partito putiniano, si presentano come «indipendenti», per dissociarsi da una formazione politica troppo screditata.

L’inaspettata liberazione di Ivan Golunov – mai prima d’ora il regime aveva lasciato andare una sua vittima – è conseguenza di questa insicurezza del potere russo, che si rende conto di non potersi più permettere una libertà di manovra totale, di aver perso il sostegno della maggioranza silenziosa. La fine del mandato presidenziale – legalmente l’ultimo – di Putin, nel 2024, apre la partita del passaggio di potere, e all’élite russa appare chiaro che il prodigio del consenso all’86% non è più ripetibile, anche perché non si vede una soluzione al ristagno economico. In attesa di quello che molti temono sarà il collasso del sistema i suoi attori iniziano un gioco di riposizionamento. Come scrive Alexandr Baunov, direttore di Carnegie.ru, «il potere non si è umanizzato, ma sta diventando più razionale, che spesso significa anche più umano».