Non è facile definire oggi la Posta. Un tempo bastava dire: è un’azienda pubblica, retta e controllata dalle autorità federali competenti, poste sotto l’alta vigilanza dei poteri centrali, governo e parlamento. Parole non molto distanti da quanto fissava l’art. 33 della Costituzione del 1848: «l’amministrazione postale su tutto il territorio della Confederazione viene assunta dalla Confederazione stessa...». Detto fatto, il servizio postale iniziava l’esercizio l’anno successivo. L’integrazione delle ferrovie private negli organismi centrali fu più lenta, le cinque principali compagnie furono trasferite allo Stato solo tra Otto e Novecento. Un cammino analogo, dai cantoni al «Bund», ebbe luogo nell’organizzazione militare. Tratto distintivo: la divisa, il berretto, la croce federale, la «montura» che rendeva il funzionario immediatamente riconoscibile, e anche rispettato per i servizi che forniva a tutta la cittadinanza.
Oggi la Posta si presenta come una «società anonima di diritto speciale», i cui obiettivi sono: comunicazione, logistica, servizi finanziari, mobilità. La mutazione genetica avvenne nel 1998, con la scorporo dalle PTT delle telecomunicazioni, divenute «Swisscom», il ramo più remunerativo e promettente, legato alle nuove tecnologie, la gallina dalle uova d’oro che tutti amano allevare con generoso becchime. Per le attività tradizionali – gestione degli uffici postali, distribuzione delle lettere, contatto diretto con la clientela – iniziava invece una lunga marcia, non ancora terminata, fatta di razionalizzazioni, tagli, chiusure, aumento dei ritmi di lavoro. A giudizio della direzione sono mutate le abitudini e le esigenze della popolazione in conseguenza dell’avvento della posta elettronica e delle reti sociali. Fine della discussione.
Graziano Pestoni, nel suo ultimo saggio, contesta questa interpretazione. I cellulari hanno certamente ridotto il traffico epistolare, ma questo calo di buste e lettere non giustifica il programma di ristrutturazione che i dirigenti si sono dati negli ultimi anni con il benestare del Consiglio federale. Per l’autore sono altri i motivi che hanno minato alla base questo pilastro della coesione federale, storico fiore all’occhiello del modello elvetico: l’imperante ideologia liberista, ostile allo «Stato manager»; la ricezione pedissequa delle direttive comunitarie sulle privatizzazioni, che pur non essendo vincolanti per la Svizzera hanno tuttavia indicato la strada; le nuove dottrine d’impresa, ritenute superiori per reattività, puntualità e convenienza, e che promettono agli utenti un servizio più celere e a miglior prezzo.
Pestoni è un ex sindacalista che crede nella Posta, il «gigante giallo» che, con le FFS, ha contribuito a far maturare nel paese un senso civico ineguagliabile, universalmente ammirato. Ne misura l’importanza scrutandolo dal basso, a partire dai turni dei postini, dagli affanni degli sportellisti costretti a svolgere il maggior numero di operazioni nel minor tempo possibile. Per contro non nutre quasi nessuna fiducia nei confronti dei vertici; anzi, li considera artefici di «uno dei più grandi espropri della storia: la cessione ai privati dell’azienda della Posta, ossia di un prezioso patrimonio nazionale». La sua diffidenza giunge al punto di sospettare un complotto volto ad indebolire persino un settore trainante come PostFinance, da attuarsi attraverso la cessione di azioni ai privati. Da notare che il saggio non menziona lo scandalo AutoPostale, venuto alla luce a pubblicazione avvenuta.
Per arrestare il declino ed evitare altri, rovinosi guai, Pestoni non vede che una soluzione: il ritorno della Posta nelle mani della Confederazione. Una ri-nazionalizzazione totale che metta fine alla scriteriata politica di chiusure e che restituisca alla Posta i galloni guadagnati sul campo.
Questa la proposta, che a taluni parrà fuori luogo, anacronistica, nostalgica, e troppo sganciata dal ruolo che sta assumendo la digitalizzazione, un processo che, se guidato con lungimiranza, può tornar utile anche alle regioni periferiche e alle valli. Ma al di là degli scenari e delle accuse che l’autore muove all’odierna dirigenza, resta l’invito a tenere gli occhi ben aperti. Un compito che spetta ai partiti, ai sindacati, alla politica, ma anche alla società civile in tutte le sue articolazioni. Perché la Posta rimane un «bene comune» da tutelare e da difendere da chi vorrebbe spolparla fino all’ultima cartilagine, vanificando i tentativi di tenere assieme innovazione tecnologica, servizio pubblico e coesione nazionale.
Bibliografia
Graziano Pestoni, La privatizzazione della posta svizzera. Origine, ragioni, conseguenze. Syndicom e Fondazione Pellegrini-Canevascini, Lugano, 2018.