Il ponte che non s’ha da fare

L’idea di collegare la Sicilia al resto della Penisola italica è antica ma finora ha portato solo alla perdita di energie e tanto denaro
/ 28.11.2022
di Alfio Caruso

Plinio il Vecchio narra che nel 251 avanti Cristo il console Lucio Cecilio Metello ordinò la costruzione di un ponte sullo Stretto di Messina per trasportare 140 elefanti di guerra catturati ai cartaginesi nella battaglia di Palermo, durante la prima guerra punica. Allora gli ingegneri della repubblica idearono un ponte di legno galleggiante su botti legate a due a due e sormontate da un tavolato. Con la conclusione degli eventi bellici la precaria impalcatura, lasciata in balia delle impetuose correnti fra Scilla e Cariddi, andò in malora. Sarebbero trascorsi duemila anni prima che fosse ripreso il progetto di un ponte. Nel 1866 il ministro dei Lavori pubblici Stefano Jacini incaricò l’ingegnere Alfredo Cottrau di studiarne la messa in atto. Quattro anni più tardi fu proposto l’allacciamento sottomarino di 22 km tra le due sponde, copiando il progetto sotto la Manica accarezzato da Napoleone. Nel 1876 un altro ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Zanardelli, rilanciò l’opera per caratterizzare il primo governo della sinistra nella nuova Italia, nata nel 1861. Il ponte sullo Stretto sembrava racchiudere in sé le potenzialità giuste, compresa quella di mostrare l’attenzione di una classe politica dominata dai nordisti nei confronti del Meridione devastato per anni dalla guerra civile. Anche Zanardelli, tra l’altro, coltivava il sogno di affiancare al ponte un collegamento sottomarino: «Sopra i flutti o sotto i flutti, la Sicilia sia unita al Continente».

Ma le tensioni sociali, il terremoto del 1908, lo sbarco in Libia del 1912, la guerra del 1915-18, l’avvento del fascismo, le nuove ambizioni coloniali (Etiopia 1936), la catastrofica guerra del 1940 annullarono l’interesse per una qualsiasi soluzione. Se ne ricominciò a disquisire all’inizio degli anni Cinquanta. Tuttavia soltanto nel 1979 l’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga varò la «Stretto di Messina s.p.a.», diventata operativa nel 1981 e da subito una mucca da mungere per il sistema dei partiti e più ancora per Cosa Nostra e la ’ndrangheta. Nel 1984 il ministro dei Trasporti Claudio Signorile indicò nel 1994 la data dell’inaugurazione. Però da quell’anno non un solo passo in avanti era stato compiuto al punto che Silvio Berlusconi, nell’annunciare la famosa discesa in campo, pose il ponte tra gli obiettivi primari del proprio interventismo.

Al di là dei risultati pari a zero e dei 300 milioni di euro fin qui spesi per la «Stretto di Messina s.p.a.», in liquidazione da 9 anni, colpisce che a occuparsi e a preoccuparsi del ponte non ci sia neppure un siciliano. La gran parte degli isolani, infatti, non freme per vedere realizzata l’opera che sembra coinvolgere soprattutto quelli nati da Roma in su. D’altronde, come recita un famoso libello dell’indipendentismo regionale, se il buon Dio avesse voluto per la Sicilia un destino diverso, non l’avrebbe posizionata in mezzo al mare. Di parere ben diverso Roma, intesa come il potere centrale. È stato infatti il governo Draghi nel 2021 a rilanciare il progetto con l’analisi di quattro ipotesi: ponte sospeso a unica campata, ponte sospeso a tre campate, tunnel di Archimede (cioè ancorato al fondale marino) e tunnel subalveo (una sorta di ponte galleggiante non poggiato sul fondale marino). L’ex ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini ha indicato nel ponte a tre campate, di quasi 3 km, la soluzione ideale, l’unica in grado di scongiurare i pericoli che potrebbero sorgere con le altre. E qui siamo al vero ostacolo, che da sempre ha frenato gli entusiasmi. I fondali dello Stretto sarebbero in grado di sostenere le due gigantesche antenne indispensabili per la costruzione?

La società giapponese, che 40 anni addietro curò lo studio finora più approfondito, segnalò che sotto lo Stretto s’incontrano e spesso si scontrano due faglie tettoniche. Le stesse da cui originò il devastante terremoto di Messina e Reggio Calabria, 100-120mila morti su 185mila abitanti, e che rendono la zona ad altissimo rischio sismico. Di conseguenza il suggerimento fu di pensare eventualmente a un ponte per il passaggio di pedoni e di auto, ma non dei treni. Viceversa, a muovere l’interesse sia del governo Draghi, sia di quello di Giorgia Meloni è il desiderio di agevolare il traffico ferroviario, ma il guadagno sarebbe di appena 47 minuti. Mentre l’Unione europea non lo considera tra le sue priorità, non lo inserisce in nessuna delle grandi tratte incaricate di facilitare i commerci, anzi pone la condizione che sia «un progetto maturo e coerente con il green deal, la sfida verde».

Al contrario, l’impatto ambientale minaccia di essere rilevante per un’area con una delle più alte concentrazioni di biodiversità al mondo. Vi si trovano, infatti, i siti della Rete Natura 2000 tutelata dall’Europa con due importantissime Zone di protezione speciale e di ben 11 Zone speciali di conservazione. E che ne sarebbe delle migliaia di uccelli che percorrono ogni anno questa rotta per trasmigrare dall’Europa e dall’Africa? Stessa domanda per la flora e la fauna dei fondali giudicata senz’uguali e sul cui destino nessuno si sente in grado di pronunciarsi. Tali e tante incertezze sono giustificate dai 100mila posti di lavoro sbandierati da Matteo Salvini, divenuto per motivi elettorali l’ultimo aedo del ponte? Finora si è abbondato in promesse e soprattutto in debiti a carico dello Stato. L’esempio viene offerto dalla «Stretto di Messina s.p.a.», al cui interno ancora oggi operano un liquidatore, un bel po’ di personale distaccato, un collegio sindacale, consulenti legali e revisori di bilancio. Il tutto finora ha prodotto un deficit di quasi 25 milioni. Ma in ballo ci sono anche i 700 milioni di risarcimento richiesti dalla Impregilo: nel 2005, durante il terzo Governo Berlusconi, aveva vinto la gara d’appalto come contraente generale. E non è l’unica vertenza giudiziaria: nel 2017 la «Stretto di Messina s.p.a» ha domandato il risarcimento dei soldi spesi in 32 anni di attività, 325 milioni di euro, quasi l’intero capitale ammontante a 383 milioni. E a chi lo ha chiesto? Al Ministero delle infrastrutture, cioè allo Stato, cioè al suo proprietario: l’81,8% della «Stretto di Messina s.p.a.» risulta intestato all’Anas, il 13 a Rete ferroviaria italiana, il rimanente 5,2 è diviso in parti quasi uguali fra le Regioni Calabria e Sicilia. E i siciliani ripensano al finale di quel libello indipendentista: un motivo ci sarà se il buon Dio ha posizionato l’isola in mezzo al mare.