Il piano B di Angela

Kerneuropa– In Germania torna a galla l’idea alternativa di una Europa a due velocità (Euronucleo a traino franco-tedesco più periferia) immaginata due decenni fa. Sancirebbe la fine, di fatto già avviata, dell’Unione europea
/ 08.05.2017
di Lucio Caracciolo

Uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro della Kerneuropa. Il primo a evocare l’idea dell’Euronucleo fu, nel 1994, l’attuale ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, assieme al collega cristiano-democratico Karl Lamers. Allora sarebbe dovuto servire ad evitare il temuto – da parte germanica – annacquamento dell’euro da parte dei paesi a valuta debole, quali Portogallo, Italia, Spagna e Grecia, simpaticamente battezzati Pigs. Sicché la nuova valuta avrebbe dovuto comprendere solo il triangolo Germania-Francia-Benelux, in sostanza l’area ristretta del marco. Non se ne fece nulla, perché alla fine Kohl cedette alla necessità, per ragioni geopolitiche ed economiche (concorrenza della lira svalutata), di ammettere nell’Eurozona anche gli inaffidabili mediterranei. Nella speranza, ricordò poi un negoziatore germanico, di «nordificare» (nordisieren) italiani e associati.

Oggi la Kerneuropa ha assunto dimensioni più concretamente geopolitiche. È infatti il «Piano B» di Angela Merkel in caso di crisi finale dell’euro e di disintegrazione della casa comunitaria. Quando la cancelliera parla di «Europa a due velocità» intende Euronucleo più periferia. Una costruzione tutta da definire nei suoi termini territoriali, istituzionali ed economici, ma tendente a legare con la Germania in vincoli sempre più stretti paesi (o parti di paesi) che essa sente più vicini. Per storia, geografia, cultura e interessi. E soprattutto per l’appartenenza alla catena tedesca del valore. Un catalogo molto approssimativo potrebbe disegnare attorno a Berlino una costellazione formata da: Austria, Slovenia, Danimarca, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Olanda, Finlandia Belgio, Lussemburgo, probabilmente allargata alla Francia, se questa non vorrà smarcarsi dalla Germania in nome della sua propensione ad abbracciarla perché non si muova da potenza solitaria. In forse invece lo status di Spagna e Italia. Nella Kerneuropa potrebbe eventualmente estendersi all’Italia del Nord, ossia a quella parte dello Stivale, tra Brennero e Linea Gotica, più o meno inserita nel sistema industriale tedesco.

Le ragioni che spingono verso questa direzione sono diverse. Anzitutto, l’allargamento dell’Atlantico e della Manica, di cui l’avvento di Trump e il voto per il Brexit sono i due signali più vistosi. La Bundesrepublik nacque come creatura americana, incardinata nell’Europa occidentale destinata a fronteggiare insieme la minaccia sovietica e l’infiltrazione comunista. Di fatto, un satellite americano. Quella Germania non esiste più dal 3 ottobre 1990, quando la Bundesrepublik annetté d’un colpo la Repubblica Democratica Tedesca, ovvero il satellite germanico inscritto nell’orbita di Mosca. Da allora la Germania ha riacquistato quella centralità in Europa cui ha sempre aspirato, almeno da Bismarck in avanti.

Quello che ancora latita a Berlino è una vera capacità strategica. Quanto meno, non appare alla luce del sole. Ma le tendenze di fondo verso l’integrazione di un nucleo germanico nello spazio Ue sono profonde e potrebbero sfociare nella Kerneuropa senza necessariamente seguire un Generalplan.

Ad accelerare queste pulsioni contribuisce la secessione in corso di Londra dalla famiglia europea. Il Regno Unito non è solo il terzo partner commerciale della Germania, è anche un riferimento geopolitico in quanto stretto alleato degli Stati Uniti, come pure in quanto utile schermo per Berlino: quando il governo tedesco non poteva pronunciare dei «no» perché sarebbe stato tacciato di antieuropeismo in sede comunitaria, amava nascondersi dietro il «no» britannico. Inoltre, con Londra Berlino raccordava una geopolitica nordica imperniata sui paesi scandinavi. Insomma, la nostalgia del Regno Unito è già percepibile fra le élite tedesche.

La nascita della Kerneuropa sancirebbe la fine, di fatto già avviata, dell’Unione Europea. Oltre la metà degli Stati membri non sarebbe infatti ricompresa nemmeno nella versione più estesa di questo progetto. Ad esempio, la Polonia, la Svezia e i Paesi baltici, che potrebbero avvicinarsi sul versante nord-est. Oppure Romania, Bulgaria e Grecia, che con i balcanici potrebbero costruire un polo di integrazione minore. Con la grande incognita dell’Italia, intera o dimezzata per l’assunzione del suo Nord nella sfera d’influenza germanica.

Di sicuro questo tipo di concentrazione di potenza attorno alla Germania non piacerebbe agli Stati Uniti. Gli americani hanno combattuto e vinto due guerre mondiali e una guerra fredda per impedire l’egemonia della Germania – da sola o insieme alla Russia – sul continente europeo. Non bisogna mai dimenticare che la ragione sociale della Nato suona, secondo il celebre detto di Lord Ismay, il suo primo segretario generale, esplicitamente antigermanico: «To keep Americans in, Russians out and Germans down». I recenti scontri verbali fra i dirigenti americani e tedeschi, culminati nel rifiuto di Trump di stringere la mano a Merkel, esplicitano questa dimensione della geopolitica americana – un basso continuo che nessuna amministrazione ha mai smesso di suonare. Il sospetto non troppo recondito di Washington è infatti che una Germania capace di dotarsi di una sua sfera d’influenza europea finirebbe inevitabilmente per slittare verso Mosca. Magari anche verso Pechino. Nessun presidente degli Stati Uniti potrebbe accettare tale prospettiva. E farebbe di tutto per sabotarla.