Nel novembre 2019 si era spinto fino in Estremo Oriente, facendo tappa in Thailandia e Giappone. Allora neanche Francesco poteva immaginare che il lockdown presto sarebbe iniziato anche per lui: il Papa della «Chiesa in uscita» costretto a stare chiuso in Vaticano, o poco oltre. Assume dunque un significato particolare il fatto che questa settimana Bergoglio riprenda la strada del mondo: dal 5 all’8 marzo sarà infatti in Iraq per un viaggio profondamente desiderato e ostinatamente confermato nonostante le mille incognite che aleggiano intorno a Baghdad. Non ultima la Covid. Se infatti il pontefice ha già ricevuto entrambe le dosi del vaccino, l’immunizzazione è ancora una prospettiva lontana per chi vive tra il Tigri e l’Eufrate. Ed essendo i contagi anche qui nelle ultime settimane tornati a crescere, c’è il rischio che molti iracheni questo viaggio siano costretti a vederlo in Tv.
Eppure sarà comunque per tutti un fatto epocale: erano anni che Bergoglio aveva espresso il desiderio di recarsi in quella terra. E sarà il primo Papa a riuscirci: l’Iraq era stato infatti uno dei viaggi mancati di Giovanni Paolo II. Nel 2000 – anno del suo grande Giubileo – anche Wojtyla aveva sognato di cominciare il suo pellegrinaggio in Terra santa da Ur dei caldei, in Mesopotamia, il luogo dal quale secondo la tradizione il patriarca Abramo iniziò il suo itinerario fisico e spirituale. Un posto che si trova poco lontano da Nassiriya, nel sud dell’Iraq. Quelli erano ancora gli anni di Saddam Hussein, che un Papa l’avrebbe anche accolto volentieri; ma alla fine furono le pressioni geopolitiche intrecciate alle preoccupazioni per la sicurezza a rendere impossibile il progetto.
Poi in Iraq è successo di tutto: la seconda guerra del Golfo nel 2003, con l’uscita di scena del rais, ma anche la sua eredità pesante, fatta di violenza fondamentalista e un vero e proprio calvario per la Chiesa locale. Vent’anni fa erano un milione e mezzo i caldei, i cristiani dell’Iraq. Le ripetute stragi, le minacce, l’emigrazione li hanno ridotti a poche centinaia di migliaia, concentrati soprattutto al nord, nella zona di Erbil, il capoluogo di quello Stato nello Stato che è il Kurdistan iracheno.
Dentro tutta questa sofferenza – che le grandi potenze occidentali dopo aver scatenato la guerra hanno tendenzialmente rimosso – la parabola dell’Isis è stata solo l’ultimo anello della catena. Era l’estate del 2014 quando, da appena un anno salito al soglio di Pietro, Papa Francesco assisteva attonito da Roma alle testimonianze dell’esodo forzato da Mosul e dalla Piana di Ninive. Con le porte delle case dei cristiani marchiate con la lettera nur, l’iniziale di nazareni, dai miliziani del sedicente Califfato e l’ordine di lasciare le città entro l’alba per poter almeno avere salva la vita.
C’è tutto questo dentro il viaggio che Bergoglio si appresta a compiere, con tante tappe legate alle lacrime di quel Paese: a Baghdad incontrerà i sacerdoti e i religiosi nella cattedrale siro-cattolica di Nostra signora della salvezza, dove il 31 ottobre 2010 ben 48 fedeli – famiglie con bambini, anche di pochi mesi – furono massacrati da un commando terrorista durante una celebrazione. A Mosul il Papa pregherà per tutte le vittime dell’Isis nella piazza della chiesa, ancora in macerie dopo il tempo dell’orrore. A Qaraqosh, nella Piana di Ninive un tempo culla di una folta comunità cristiana, incontrerà quanti pur tra mille difficoltà e in un Paese tutt’altro che pacificato hanno avuto il coraggio di tornare in case che non esistono più. Nello stadio di Erbil, infine, celebrerà la messa con chi ancora vive da esule nella propria stessa terra.
Accanto alla vicinanza ai cristiani iracheni perseguitati, però, il viaggio di Papa Francesco avrà anche un secondo tema non meno importante: sarà l’occasione per l’incontro con «l’altra metà dell’Islam». Se infatti il 2019 per Bergoglio si era aperto con l’altrettanto storico appuntamento di Abu Dhabi e la firma della Dichiarazione sulla fratellanza umana insieme al grande imam di al Azhar, Ahmad al Tayyeb (il più autorevole esponente del mondo dottrinale sunnita), l’Iraq sarà il teatro di un incontro della stessa portata con il mondo sciita. Il Papa vedrà infatti il grand ayatollah Sayyid Ali al-Husayni al-Sistani, figura religiosa ritenuta per molti versi il contraltare dell’ayatollah Khomeini, il padre della Rivoluzione iraniana. E questo incontro si terrà a Najaf, una città fondamentale per la storia e la mistica del mondo sciita.
Sarà dunque, questo viaggio in Iraq, un nuovo tassello nell’alleanza tra le religioni per la pace che Papa Francesco va ostinatamente cercando di costruire. Un ponte gettato anche sulla grande frattura tra sunniti e sciiti, che da secoli attraversa il mondo islamico e negli ultimi anni ha visto una grave recrudescenza nei conflitti che dalla Siria allo Yemen hanno sfregiato il Medio Oriente. Un tentativo di dialogo in un momento cruciale anche dal punto di vista geopolitico per quest’area del mondo: la presidenza Biden deve decidere quale strada intraprendere nei confronti dell’Iran, dopo il duro confronto dell’era Trump, sostenuto a spada tratta da Israele, Arabia Saudita e Paesi del Golfo. Come uscire dalla logica della contrapposizione ma nello stesso tempo non chiudere gli occhi di fronte ai sogni di potenza di Teheran, che proprio in Paesi come l’Iraq appaiono in tutta la loro pericolosità?
Proprio a Ur dei caldei, il luogo da cui Abramo partì per seguire la voce di Dio, Papa Francesco pregherà insieme agli esponenti delle altre religioni. Nella speranza che questa preghiera possa indicare una strada che conduca il Medio Oriente fuori dal bagno di sangue della sua storia recente.
Il Papa e l'altra metà dell'Islam
Tra il 5 e l’8 marzo Bergoglio volerà in Iraq, un viaggio storico che testimonia la volontà di tendere la mano al mondo sciita e sostenere i cristiani perseguitati
/ 01.03.2021
di Giorgio Bernardelli
di Giorgio Bernardelli