Il Pakistan allo sbaraglio

Esplodono i paradossi nella cosiddetta «terra dei puri»
/ 27.02.2023
di Francesco Marino

Lahore messa praticamente sotto assedio da migliaia di seguaci dell’ex-premier Imran Khan che protestavano contro le accuse di corruzione e sedizione di cui il suddetto è stato chiamato a rispondere in tribunale. Le migliaia di cui sopra imploravano la polizia di arrestarli, e la polizia si faceva invece grasse risate limitandosi a osservarli. Nessuno degli aspiranti martiri per la libertà è finito in galera, e l’assedio è diventato una gita aziendale. Nel frattempo, il capo della Lashkar-i-Toiba Mohammed Hafiz Saeed (l’organizzazione che ha pianificato l’attacco di Mumbai nel 2008, tanto per capirci), che secondo Islamabad dovrebbe essere in galera da quando il suo arresto è stato adoperato mesi fa per togliere il Pakistan dalla «grey list» della Financial Action Task Force (Fatf), si vanta, libero e bello, in un video di aver recentemente tenuto sermoni talmente buoni da convertire in massa qualche centinaio di hindu che risiedono in Pakistan.

E il ministro delle Finanze Ishaq Dar si fa fotografare tutto contento con una delegazione di alto profilo della Rotschild & Co., che fornisce servizi finanziari a vari Paesi in tutto il mondo: il Pakistan, ormai di fatto in bancarotta, si prepara a quanto pare a ristrutturare il proprio debito pubblico prima del tracollo definitivo. E lo fa, sghignazzano alcuni analisti, con una finanziaria di origine ebrea mentre continua ad attaccarsi sempre più tenacemente all’integralismo islamico e a rifiutarsi di avere rapporti con Israele. Sempre negli stessi giorni, una delegazione governativa di piccoli dottor Frankenstein si reca a Kabul a implorare i mostri da loro stessi creati di tenere al guinzaglio i «terroristi cattivi» che se la prendono con il governo pakistano. D’altra parte il Paese, il cui nome significa letteralmente «la terra dei puri» è stato fondato su un paradosso (una repubblica islamica per cittadini di tutte le religioni e anche per i laici) e di paradossi continua a vivere minacciando periodicamente di implodere fin dalla sua fondazione nel 1947.

Storicamente, le numerose crisi attraversate sono sempre state risolte con una bella dittatura militare: che però, al momento, non è più sul menu per diverse ragioni. I generali infatti, sono troppo occupati a litigare tra loro: da quando il burattino Imran, in perfetto stile Pinocchio, si è liberato dei propri fili e ha smesso di dire bugie (o, almeno, di dirne troppe) rivelando ciò che tutti sapevano e cioè di essere stato fin dal principio soltanto un pupazzo da ventriloquo per l’esercito che lo aveva fatto eleggere, l’esercito non se la passa troppo bene e cerca di tenere un profilo bassissimo cercando di far credere alla popolazione che a comandare sia il Governo e che i generali si limitano a seguire le direttive della politica. D’altra parte, con il Paese allo sfascio questa appare, tutto sommato, la linea più conveniente da tenere. Negli ultimi vent’anni il debito pubblico pakistano si è più che raddoppiato ogni cinque anni: e il Governo del buon Imran, sostenuto dai generali, ha messo allegramente la testa nel cappio della «trappola del debito» cinese, vendendo di fatto il Paese a Pechino con accordi ancora più capestri di quelli firmati dai suoi predecessori per diventare protagonisti (o vittime, dipende dai punti di vista) di quella branca della «nuova via della seta» che è il China-Pakistan Economic Corridor.

Il debito del Pakistan è ormai insostenibile, i generi di prima necessità hanno prezzi da capogiro, l’inflazione è alle stelle, la politica allo sbando, la politica estera continua a seguire le linee guida dettate dalla buonanima dell’ex-dittatore Musharraf: doppi e tripli giochi e menzogne spudorate per ottenere i soldi necessari a tappare di volta in volta i buchi più urgenti. Islamabad, generali e politica, reagisce da par suo ispirandosi a Marie Antoinette e alla versione pakistana delle famigerate brioche: teniamo occupata la popolazione con la minaccia del terrorismo provocato dall’Occidente per avere costretto il Pakistan a sostenere la coalizione internazionale in Afghanistan, con gli islamofobici infedeli che cercano di attaccare Islamabad e coi nemici alle porte del Paese che vogliono distruggere la «terra dei puri» accusandola ingiustamente di aver creato i terroristi islamici e di usarli ancora come strumento privilegiato di politica estera e di ricatto. Qualcosa succederà. E l’Occidente, come da copione, non permetterà che un Paese dotato di bomba atomica si sfasci: il ricatto, Musharraf docet, funziona ancora e sempre.