Il nemico dell’America è l’America

La «guerra al terrorismo» ha comportato agli Usa perdita di influenza, prestigio e potenza a livello mondiale. Mentre l’Afghanistan è tornato in balia dei talebani e l’Europa in crisi non riesce a trovare una via unitaria
/ 06.09.2021
di Lucio Caracciolo

Gli Stati uniti d’America non hanno vinto una guerra dal 1945. E hanno appena finito (?) ingloriosamente di perdere l’ennesima, in Afghanistan, combattuta non si sa bene contro chi, salvo poi trattare il nemico talibano da alleato indispensabile. Eppure restano il «numero uno» al mondo. Per carenza di sfidanti credibili, a meno di non considerare tale la Cina. Tesi alquanto discutibile, viste le fragilità interne, strutturali e culturali, della Repubblica popolare. L’unico vero formidabile nemico dell’America, capace di distruggerla, è l’America. Da vent’anni gli Stati uniti sono in guerra contro loro stessi. Nota come «guerra al terrorismo», questa programmata autoflagellazione comporta graduale perdita di influenza, prestigio e infine potenza su scala mondiale. Ma il problema è nel corpo e nelle teste degli americani. Vediamo.

Primo. L’America è un impero ma non può/vuole dichiararsi tale per la sua storia anticoloniale e per la sua ideologia. Non potersi celebrare impero non è un dettaglio. Gli imperi non si fanno per i soldi. Si fanno per la gloria. Se non ti puoi eccitare esibendo la gloria imperiale, finisci per frustrarti. Per ridurre la tua imperialità a pura materialità. Per cui quando finisci in guerra non capisci bene perché. E se non lo capisci, tu colosso perdi pure contro i nani. Secondo. Per questo deficit culturale e strategico, che si sovrappone all’inasprimento delle faglie sociali, economiche ed etniche, classiche e recenti, è l’identità stessa americana ad essere in questione. Who are we? (Chi siamo?), il titolo del saggio pubblicato da Sam Huntington nel 2004, è il titolo perfetto del dramma americano. Una simile domanda ti porta dallo psicoanalista, non a comandare il mondo. La consapevolezza di sé è precondizione del primato. Dell’autorevolezza.

Terzo. Gli strateghi americani non si sono ancora ripresi dal lutto dell’Ottantanove. Senza nemico si vive male. Perché quel nemico faceva metà del tuo lavoro, contribuendo a un grado accettabile di ordine mondiale, in Afghanistan c’erano finiti loro. Perché il nemico ti aiuta a capire chi non sei, dunque chi sei. Perché senza bussola è facile finire dove non vorresti essere, spendendo trilioni di dollari, migliaia di vite americane (le altre non sta bene contarle) e buona parte della tua autorevolezza presso satelliti e avversari. Per esempio in Iraq e in Afghanistan. Quarto. Tutto ciò ha spinto gli Usa in una «guerra al terrorismo» insensata perché invincibile. Anzi logorante. Il terrorismo è un metodo, spesso usato da Stati sovrani, non solo da bande. Certo non un soggetto. La non-definizione ti permette di aprire e chiudere conflitti semplicemente iscrivendo nelle liste nere questo o quell’avversario, salvo poi cancellarlo secondo necessità (talebani docent). Ma ti rende passivo a causa della nevrosi che spinge a sovrareagire alle provocazioni dei terroristi. Bomba-rappresaglia bellica-bomba… Spirale potenzialmente infinita.

Per noi europei, alleati di fatto (Svizzera) o di diritto, non necessariamente di fatto (Nato) degli americani, finiti sulla Luna della post-storia, è il momento di rimettere i piedi sulla Terra. Facile puntare il dito contro gli errori di Washington. Meno ovvio trarre le conclusioni che ci toccano. Da questa parte del mondo la questione afgana è ridotta a diritti umani (quali?), difesa delle donne, assistenza ai profughi (purché restino dove sono), fasulli programmi economici e sociali. Ci si lamenta del fatto che con i talebani al potere l’Afghanistan riprecipiti nel Medioevo, come se fino ad oggi l’avessimo redento e trasportato nella Modernità. Gli «studenti» afgani (a quanto pare, molti ripetenti) non hanno mai letto i classici dell’illuminismo e non lo faranno mai. Le strutture mentali e culturali si cambiano un poco nei secoli. Forse. Le radici identitarie e istituzionali non si estirpano a piacimento. Non si piantumano alberi della libertà in terreni alieni.

Angela Merkel ci spiegò, quattro anni fa, che noi europei (tedeschi anzitutto) dovremmo riprendere un po’ il destino nelle nostre mani. Ottimo proposito. Peccato che quando l’abbiamo fatto, in genere è stato per litigare. O farci la guerra. Mondiale, non «al terrorismo». Attenti a desiderare quel che desideriamo. In ogni caso, Mamma America non ci salverà. Troppo affaccendata a sbrigare faccende e drammi di casa, per guardare il nostro cortile. Vivremo dunque tempi interessanti.