Il #MeToo non fa per i russi

Molestie sessuali – Nel Paese che ha organizzato manifestazioni in difesa di Harry Weinstein il deputato Leonid Sluzky è stato prosciolto dalle accuse di «harassment»
/ 16.04.2018
di Anna Zafesova

Da qualche giorno i lettori e spettatori di alcuni giornali e tv russi, non sanno più nulla della Duma. I cronisti parlamentari di numerose testate hanno deciso di boicottare la camera bassa, dopo che la commissione etica parlamentare ha deciso di non punire il presidente del Comitato per gli affari internazionali Leonid Sluzky per le molestie sessuali. È il primo scandalo del genere nella storia russa, ma a Mosca il #MeToo si evolve in maniera molto diversa dai casi analoghi in Occidente: il deputato accusato ha dichiarato di essere «lusingato» dal paragone con Harvey Weinstein, e le più critiche verso le due croniste sue vittime sono state le parlamentari donne. 

Farida Rustamova, corrispondente parlamentare della Bbc Russia, un anno fa aveva chiesto a Sluzky un commento sulla visita a Mosca di Marine Le Pen. Il deputato l’ha ricevuta nel suo ufficio alla Duma, l’ha chiamata «coniglietta» e le ha proposto di lasciare il suo fidanzato e di mettersi con lui («Oppure sposi lui e diventi la mia amante»), promettendo «aiuto» alla carriera e toccandola. La conversazione è stata registrata da Rustamova, che è fuggita in lacrime nella sala stampa, dove altre colleghe le hanno raccontato che tutte loro preferiscono intervistare Sluzky per telefono o via mail. Rustamova non ha denunciato subito le molestie dopo essersi consultata con i responsabili dell’ufficio stampa parlamentare, anche perché in Russia non esiste una legge contro le molestie sessuali. Ha fatto outing solo dopo che la tv Dozhd ha iniziato una campagna contro Sluzky, che aveva molestato la producer Daria Zhuk. Anche un’altra collega di Dozhd era stata molestata, ma preferì tacere dopo che i funzionari della Duma minacciarono di toglierle l’accredito per «calunnia».

Il parlamentare ha negato ogni accusa, e il verdetto della commissione etica della Duma è stato unanime: non ci sono motivi per sanzionare l’onorevole Sluzky, e le due giornaliste sono colpevoli di un’azione «premeditata e pianificata», finalizzata a danneggiare la campagna elettorale di Vladimir Putin. Il presidente della Duma Viacheslav Volodin ha consigliato alle due ragazze di dimettersi, «se pensano che lavorare in parlamento sia troppo pericoloso». La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha espresso dubbi sulla morale delle giornaliste: «Una donna o respinge subito avances del genere, o non le respinge mai».

In un Paese dove si sono tenute le manifestazioni di solidarietà con Weinstein, e il presidente ha complimentato il collega israeliano accusato di stupro – «ci ha stupiti, chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato capace di farlo con 10 donne» – il dibattito sui diritti delle donne è quasi sconosciuto, al punto da usare spesso il termine inglese «harassment» per definire le molestie. Paradossalmente, in un Paese dove la maggioranza delle donne lavora, e le università, gli ospedali, le magistrature e le redazioni sono a prevalenza femminile, i posti di comando sono quasi tutti in mano ai maschi, e un atteggiamento sprezzante viene spesso condiviso (o perlomeno subito) anche dalle dirette interessate. Una studentessa dell’università di San Pietroburgo ha affisso alla vigilia dell’8 marzo manifesti con frasi sessiste dei professori – «Questa monografia è scritta da una donna, eppure è ottima», «Le donne non devono fare politica», «Le dottorande pensano solo a trovare marito» – ma il rettore, una donna, non ha voluto aprire un’indagine.

Nella società russa questo tipo di battute sono considerate innocenti, e coloro che non le gradiscono vengono bollate come «femministe» (in Russia è quasi un insulto). La promozione dei «valori tradizionali» lanciata dal Cremlino per contrastare l’Europa «degradata» ha però fornito una base ideologica al pregiudizio, e infatti i deputati hanno subito intravisto nella denuncia contro Sluzky un aspetto politico. Il parlamentare è peraltro uno strenuo difensore dei «valori tradizionali», amico del patriarca Kirill, instancabile restauratore di chiese e collezionista di icone. È stato promosso alla presidenza del Comitato per gli affari internazionali, pur non parlando nemmeno lingue straniere, da Putin in persona, dopo aver organizzato le visite degli «osservatori» europei in Crimea, selezionati tra i partiti e i politici di estrema destra che hanno applaudito l’annessione russa.

Un personaggio importante a Mosca, con una dacia che dista 200 metri da quella di Putin. Il leader dell’opposizione Alexey Navalny ha prontamente tirato fuori un dossier su Sluzky, dal quale risulta proprietario di due Bentley (che per comprarle avrebbe dovuto investire lo stipendio degli ultimi sei anni) e di una Mercedes Maybach, con la quale ha commesso in meno di un anno 835 infrazioni, andando contromano come un bolide per le strade di Mosca, senza pagare le multe. Un personaggio tipico della nomenklatura russa, per la quale l’impunità è il privilegio più importante, insieme all’accesso a fondi statali: la cantante pop Zara, dopo essere diventata amante di Sluzky, ha cominciato a venire ingaggiata per concerti di Stato come quello per il giorno dei servizi segreti, con onorari raddoppiati.