Quando a metà aprile la casa di moda Hermès ha riaperto il suo negozio a Guangzhou, in Cina, l’incasso del primo giorno di apertura ha raggiunto la cifra record di 2.7 milioni di dollari. Lo chiamano revenge spending, una reazione psicologica che porta il consumatore ad acquisti con scontrini molto alti dopo un periodo di negazione. Le prime aperture di grandi centri commerciali in alcune aree cinesi hanno rimesso in moto il mercato fisico, con mascherine, disinfettante e ingressi contingentati, ma ci muoviamo ancora in un territorio inesplorato, le spese pazze post-lockdown non sono un trend a cui affidarsi, mentre anche il mercato del lusso si sta spostando sempre di più sull’online.
Del resto, la pandemia da nuovo Coronavirus è una rivoluzione per i consumatori. L’impatto psicologico del lockdown, le misure di distanziamento sociale, la necessità di evitare i pagamenti con contanti, secondo molti analisti, cambieranno in generale il nostro modo di fare acquisti. Ma soprattutto sono già cambiate le priorità dei consumatori, che hanno meno voglia di apparire e sono meno propensi agli acquisti futili, ed è probabile che sarà il mercato del lusso il primo a risentirne. Il luogo in cui l’epidemia è iniziata, la Cina, rappresenta anche il 60 per cento della domanda globale degli oggetti di alta gamma. Per questo, negli ultimi dieci anni, le grandi firme internazionali hanno reindirizzato la loro offerta proprio a oriente. Con l’arricchimento della classe media cinese, il desiderio di lusso è cresciuto esponenzialmente in Cina, specialmente nel settore della moda. I marchi europei erano tra i favoriti. Secondo gli ultimi dati della società di consulenza Bain & Company, però, i ricavi per questo settore vedranno un crollo del 35 per cento a livello internazionale.
La Kering, che possiede marchi come Gucci, Yves Saint Laurent e Balenciaga, ha fatto sapere che nei primi quattro mesi del 2020 le vendite sono calate del 16 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; Lvmg, che ha Louis Vuitton e Dior, parla di 15 per cento in meno. Per quanto riguarda gli acquisti fisici, il 75 per cento dei consumatori cinesi va all’estero a fare shopping, e con la chiusura delle frontiere gli effetti sono catastrofici.Allo stesso tempo, però, alcuni negozi di lusso online, in Cina, hanno registrato un incremento di acquisti del 250 per cento. La distribuzione virtuale però è complicata, costosa, e non tutte le aziende possono permettersela. Secondo gli analisti, potrebbe essere la fine di molti marchi, e del modello di lusso per come lo intendiamo oggi. Per qualcuno però la crisi potrebbe essere un’opportunità: Daniel Langer, docente di Luxury Strategy, ha scritto sul «Jing Daily» che le stime sul mercato del lusso sono incredibilmente pessimiste, e che non prendono in considerazione il peculiare mercato cinese, che potrebbe accelerare una trasformazione del mercato internazionale.
Nove consumatori cinesi su dieci giù acquistano tramite internet, anche gli oggetti più costosi. «Nessuno conosce la vera natura di questa crisi, la peggiore di tutte le crisi che abbiamo attraversato: non sappiamo quanto durerà e quanto profondamente influenzerà i consumatori.È vero, le persone spendono meno per motivi economici», spiega Langer, ma anche perché hanno paura di contagiarsi: non passeggiano più dentro ai centri commerciali, cioè facendo shopping come lo abbiamo sempre immaginato, ma vanno direttamente «in missione» nel negozio a cui sono interessati. «I motivi per cui la gente acquista abiti di lusso non è mai cambiato, nonostante crisi, guerre, cambiamenti. Ma cambiano i desideri, e quindi anche quello che ci aspettiamo dal lusso». Il Coronavirus probabilmente accelererà il passaggio al digitale dell’abbigliamento, e cambierà la pubblicità, sempre più dipendente dai social network e dall’esperienza offerta.