Il laboratorio politico cileno

Nella Costituente chiamata a scrivere la nuova Costituzione è forte la fazione degli indipendenti, la destra raggiunge solo il 20 per cento. Il futuro è dunque progressista ma l’ombra di Pinochet aleggia sulla società
/ 24.05.2021
di Angela Nocioni

La destra politica, potere solidissimo mantenutosi assai influente nella società cilena dopo la fine della dittatura del generale Augusto Pinochet (1973-1990), non raggiunge che uno smilzo 20 per cento negli scranni della Costituente chiamata dal mese prossimo a scrivere la nuova Carta costituzionale del Cile. È questa la novità fondamentale delle elezioni tenutesi due settimane fa per costituire, per la prima volta nella storia della Repubblica cilena, l’assemblea incaricata di redigere la Carta. Si è votato insieme per le Amministrative e anche lì grande sorpresa: la destra politica è quasi scomparsa, lasciando tutto a una diffusa sinistra uscita dalle mobilitazioni di piazza di due anni fa e, con grande stupore di tutti, al vecchio partito comunista cileno che però ha eletto quasi esclusivamente giovanissimi. Non solo. Il Partito comunista s’è preso il Governo del Comune della capitale. Santiago non era mai stata governata dai comunisti, nemmeno ai tempi del Governo di Unidad popular di Salvador Allende. La novità, quanto a valore simbolico, è clamorosa.

Lo scarso 44 per cento degli aventi diritto che ha partecipato al voto (l’assenza ai seggi elettorali è altissima dal 2012, anno in cui la partecipazione al voto ha smesso di essere obbligatoria) ha punito i tradizionali partiti che si sono alternati dal ritorno della democrazia al Governo del Cile: tanto la destra estrema dell’attuale presidente Sebastian Piñera quanto il centrosinistra della socialista Michelle Bachelet. Gli elettori non si sono buttati su un voto di protesta anti-politico di destra e hanno scelto candidati usciti dalle mobilitazioni di piazza iniziate due anni fa contro il Governo Piñera, duramente represse dai militari in strada secondo lo stesso identico modello di criminalizzazione della protesta usato in queste settimane dal Governo di Ivan Duque in Colombia contro i manifestanti che lo contestano. Entrambi, Duque come Piñera, applicano il metodo dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe che teorizza la tolleranza zero verso quella che chiama «la rivoluzione molecolare che ci minaccia».

Il voto per la Costituente ha una valenza storica perché il Cile vive ancora nella gabbia di leggi costruita dalla dittatura. Fu una delle mosse più astute di Pinochet: saper imporre alla transizione democratica una Costituzione che gli sopravvivesse, facendo così perdurare alcuni assetti di potere fondamentali della dittatura, tra i quali l’insieme dei privilegi economici e degli strumenti di influenza delle forze armate.
Michelle Bachelet durante i suoi sofferti Governi di centrosinistra aveva promesso di spazzare via la Costituzione del dittatore, ma si trattava di una promessa impossibile da mantenere perché non avrebbe mai avuto dalla Democrazia cristiana sua alleata e dalle varie destre (pinochettiste e non) i voti necessari a farlo. Il testo costituzionale è sempre stato il grande totem della parte reazionaria, non necessariamente minoritaria, dell’establishment cileno. Toccare la Costituzione ha sempre significato sfidare la cultura profonda di un Paese in cui il generale Pinochet ha potuto contare a lungo su un vasto consenso anche tacito.

Per questo, ottenuta con un grande strappo politico la possibilità di riscrivere la Costituzione, chi è andato a votare in Cile l’ha fatto per invertire la direzione politica. S’è schierato in maggioranza a sinistra e ha votato quelli che si sono presentati in varie forme, con formule dove troneggia sempre l’aggettivo «indipendente» (parola dal significato politico sempre ambiguo), come eredi o rappresentanti delle decine di migliaia di persone, quasi sempre studenti, scese in piazza negli ultimi anni a chiedere una riforma strutturale della società in senso paritario. Cominciando dal sistema scolastico che è ancora quello ereditato dal regime di Pinochet ed è inaccessibile ai non ricchi perché interamente privatizzato. Delle settanta liste che si sono presentate alla Costituente, oltre 60 non appartenevano a partiti politici.

La discussione in Cile è sempre la stessa da anni: quali costi sociali ha il modello economico adottato a Santiago. Il grande problema resta la forbice tra ricchi e poveri. La differenza sociale è perpetuata dal funzionamento perverso del modello di studi universitari adottato finora. Un laureato entra nel mercato del lavoro con 30 o 40 mila dollari di debito da restituire alle banche che gli hanno erogato il prestito scolastico per accedere alle prestigiose università di Santiago. Altrettanto discriminatorio è il sistema di previdenza sociale. Il mito dei fondi pensione cileni, osannato negli anni Novanta come modello di liberismo classico da imitare, si è sgretolato per fattori demografici ed economici.

In questo contesto il Governo di Santiago conquistato dai comunisti è una bomba politica perché mai in Cile dalla fine del Governo di Salvador Allende, abbattuto dal golpe dell’11 settembre 1973 di Augusto Pinochet, un comunista ha avuto un incarico di potere diretto così importante. Michelle Bachelet ci provò nel suo secondo Governo, mettendo due del partito comunista nella lista dei ministri e dei sottosegretari, e le si rivoltò contro mezzo Parlamento, compresi i suoi alleati. Ora si apre una grande incognita: come si comporteranno i costituenti, digiuni di esperienza politica e quindi di esperienza nella tradizionale contrattazione politica tra partiti, una volta seduti al tavolo per redigere la Carta? Mediare tra forze diverse per raggiungere un compromesso è necessario per riuscire a scrivere una Costituzione. Troveranno comunque forme di mediazione? Ma soprattutto: sapranno rendersi impermeabili alle pressioni delle forze tradizionali che sono state punite dal voto o finiranno per essere accerchiati e manipolati dalle varie lobby estromesse dal voto e già al lavoro per rientrare dalla finestra?

Secondo l’Osservatorio Nueva Constitución il 64 per cento dei 155 eletti è costituito da indipendenti, senza contare i 17 seggi riservati alla minoranza indigena. Di certo la gran quantità di indipendenti farà sì che non ci sarà nessuna disciplina partitica: qualsiasi meccanismo si metterà in moto sarà un inedito. Carlos Gabetta, saggista, fine analista politico ed ex direttore del «Diplo», l’edizione latinoamericana di «Le Monde diplomatique», raccomanda grande prudenza nella lettura dei fatti cileni e molta attenzione ai distinguo: «È molto presto per fare previsioni. Per comprendere quel che sta accadendo bisogna aver chiaro che la società cilena è segnata dall’eredità della dittatura. L’educazione e la sanità sono private, è carissimo curarsi ed educarsi. Immagino che da questo punto di vista potrà uscire una Costituzione molto innovativa. Non è mai successo che rappresentanti della società senza la mediazione dei partiti avessero in mano la stesura di una Carta costituzionale, ci sono molti elementi di novità cominciando dalla metà dei seggi riservata alle donne. Uscirà, credo, qualcosa di molto progressista. Nessuna delle forze tradizionali ha i due terzi dei voti necessari ad essere determinante nella riforma. Gli indipendenti troveranno un modo per fare accordi? Chissà. È un processo del tutto nuovo, molto interessante da osservare». Comunque vada a finire, si tratterà di un laboratorio politico per l’intero Continente.