«C’è una crisi piuttosto netta nella strategia militare degli Stati Uniti e degli alleati. Dovrebbero in teoria continuare a guadagnare terreno e a respingere i Talebani, mentre invece accade il contrario. Sono i Talebani a guadagnare posizioni respingendo le truppe governative afghane e gli americani. C’è stato nei mesi scorsi un deciso incremento dei bombardamenti da parte degli Stati Uniti che, secondo i militari, aveva come obiettivo principale i Talebani e l’Isis. Sembra evidente però, che ci sono state anche numerose vittime civili. Trump continua a bombardare, ma in teoria si dichiara aperto alle negoziazioni. Al momento, però, si limita a insistere su una resa incondizionata che non avverrà mai. Soprattutto perché i Talebani al momento sono molto più forti dello stesso governo afghano».
Così Ahmed Rashid commentava gli attentati del 22 aprile scorso agli uffici in cui si registravano i votanti per le elezioni del prossimo ottobre in Afghanistan. Attentato che ha lasciato sul terreno circa sessanta persone e più di un centinaio di feriti ma che non è stato di certo l’ultimo in ordine di tempo a devastare il sempre più travagliato, e dimenticato, Afghanistan. La cosiddetta «offensiva di primavera», quest’anno, si è annunciata più letale del solito: anche perché attentati ed episodi di violenza non hanno subito alcuna battuta d’arresto durante l’inverno, anzi. Tra gennaio e marzo ci sono stati in Afghanistan circa ottocento morti e millecinquecento feriti, a cui vanno aggiunte le vittime delle violenze di aprile e maggio: circa centocinquanta morti e più di duecento feriti, secondo dati del South Asia Terrorism Portal. Inutile specificare che si tratta in maggioranza di vittime civili.
I Talebani non sono mai stati così forti, nonostante il potenziamento dei militari e della polizia afghana e nonostante la ripresa in grande stile dei bombardamenti e delle offensive americane. Più del cinquanta per cento del Paese è in mano ai Talebani, che godono anche, checché se ne dica, del sostegno della popolazione locale spesso vessata dalla polizia ufficiale che spesso, oltre a essere corrotta, è del tutto incapace di proteggere i propri cittadini. Politicamente, il governo di Kabul è isolato quanto è detestato dalla maggioranza. La produzione di oppio raggiunge continuamente nuovi record, e finanzia abbondantemente le milizie Talebane e l’Isis: e i gruppi in questione combattono ormai, e pretendono di negoziare, da una posizione di forza. L’offerta di trattative incondizionate da parte del presidente Ghani si è tradotta soltanto in un aumento esponenziale degli attentati, alcuni dei quali commissionati, secondo alcuni esperti, dal Pakistan. E il famoso «grande gioco» sta diventando ormai una partita in cui tutti giocano contro tutti, e tutti a carte coperte.
I Talebani si rifiutano di trattare con il governo afghano, che non riconoscono, mentre gli Stati Uniti si rifiutano di trattare direttamente con i Talebani. La Russia invita Washington a rivedere le sue posizioni, se davvero intende far cessare una guerra ormai infinita: per contro, i militari americani accusano Putin e i suoi di fornire armi ai Talebani. Gli Usa accusano il Pakistan di tenere le fila sia dei Talebani che dell’Isis, mentre Islamabad nega di avere ormai alcun potere sul mostro che ha creato e punta il dito contro l’Iran, che finanzierebbe sottobanco alcune fazioni Talebane e che potrebbe entrare in gioco in modo ancora più incisivo come ritorsione contro la rottura del trattato sul nucleare. La Cina spalleggia il Pakistan e allo stesso tempo cerca contatti diretti con i Talebani. Che dal canto loro, in ultima analisi, non hanno alcuna intenzione di trattare sul serio.
Come disse qualcuno molti anni fa, dalla loro parte hanno un’arma molto preziosa: il tempo. A terroristi e integralisti vari non importa quanto tempo ci vorrà ancora, non gli interessa del numero delle vittime civili e non. Sono a casa loro, e non devono fare altro che stare a osservare il gioco in atto sopra le loro teste: un gioco suicida perché è totalmente privo, come è ormai tragicamente chiaro a tutti, di alcun tipo di strategia. Chi sperava nella «nuova» strategia afghana dell’amministrazione Trump è rimasto amaramente deluso: non soltanto non c’è nulla di nuovo ma non c’è alcuna strategia, non c’è mai stata. Intensificare le azioni militari sperando in una resa dei Talebani non è soltanto una continuazione del passato, ma è anche stupido, visto che sul terreno, dati alla mano, a vincere sono i Talebani stessi.
Dovrebbe essere evidente ma non lo è, visto che la Gran Bretagna sta pensando di seguire le orme di Trump e aumentare il numero di truppe in Afghanistan. Senza pensare che è molto più probabile, stando così le cose, che ad arrendersi, per sfinimento, non siano i Talebani ma l’Occidente e gli Usa in particolare. Lasciandosi dietro un cumulo di macerie e l’ennesima polveriera pronta a detonare con la benedizione e l’aiuto di tutti coloro che da questa guerra infinita hanno tratto e trarranno ancora beneficio: il Pakistan e la Cina, per la famosa profondità strategica. Ma anche la Russia e l’Iran, pronti a riscuotere i loro crediti al momento giusto.