Cinquantenne, sposato, due figlie, residente a Breganzona, studi di economia e finanza a Berna e Neuchâtel, vasta esperienza bancaria e di consulenza fiscale internazionale, Paolo Morel è oggi a capo del Gruppo PM (PM Consulenze) che ha conosciuto un forte sviluppo negli ultimi anni. Creato nel 2009 si è allargato, acquisendo dapprima la Fiduciaria Fontana di Chiasso (2018), costituendo in seguito PM Revisioni e arrivando poi nel 2022 ad acquistare la Fiduciaria KFB. Nel 2015 aveva organizzato a Lugano un convegno sulla Voluntary Disclosure che aveva avuto un ottimo successo. Oggi può contare su una rete completa di servizi amministrativi, fiscali e di consulenza per gestori patrimoniali, clienti svizzeri e clienti esteri.
Lo incontriamo nella sede di Viale Stefano Franscini a Lugano, negli uffici di una delle poche ville sopravvissute all’espansione del centro-città. Il colloquio prende avvio subito sui rapporti con la clientela, dopo le grandi novità introdotte con lo Scambio automatico dei dati fiscali (protocollo del 23.2.2015, in vigore dall’1.1.2017) che ha in sostanza sancito la fine del segreto bancario in Svizzera, almeno per la clientela estera, con conseguenze pesanti sul settore finanziario elvetico e soprattutto ticinese. Di recente – lo ricordiamo – Berna e Roma hanno sottoscritto una dichiarazione politica che porterà allo stralcio della Svizzera dalla black list delle persone fisiche, l’ultimo elenco su cui figurava (dal 1999) come Paese a tassazione privilegiata. Svizzera e Italia hanno trovato anche una soluzione transitoria sull’imposizione del telelavoro.
L’evoluzione degli ultimi anni – ci spiega Morel – è quantificabile in un semplice dato: le banche in Ticino sono scese da 78 (2005) a 37. Ma è cambiato anche il modo di «fare banca» soprattutto nella gestione patrimoniale, perché, in sostanza, il tradizionale mercato italiano è rimasto, anche dopo i vari tentativi da parte dell’Italia di fare rientrare i molti capitali trasferiti all’estero. E qui il discorso si sposta sulle misure adottate dal fisco italiano, fra le quali le parziali amnistie decise con la Voluntary Disclosure. Va precisato che la celebre – almeno per gli ambienti interessati – roadmap da seguire per una applicazione conforme degli accordi, correttamente applicata in Svizzera, non lo è, o non lo è ancora, dall’Italia. La Svizzera si aspetta, da ormai otto anni, che l’Italia applichi la convenzione che permetta alle banche svizzere di accedere al mercato transfrontaliero della gestione patrimoniale con clienti privati, firmata a Milano il 23.2.2015.
Ma che cosa ha significato questa Voluntary Disclosure (VD)? Il mercato italiano – precisa Morel – c’è ancora ed è tuttora importante per noi. Con la VD, Roma ha regolarizzato la situazione fiscale dei contribuenti, creando migliore trasparenza e da noi un’ulteriore specializzazione nella gestione patrimoniale e nella consulenza fiscale. Con 129mila domande ha fatto emergere 60 miliardi di euro (di cui 42 miliardi provenienti dalla Svizzera), con un gettito fiscale di 4 miliardi. Si stima che i capitali minori (sotto il milione e mezzo) siano in parte rientrati, mentre gran parte dei capitali superiori sono rimasti, ma dichiarati al fisco. Alcune banche hanno dovuto ridimensionarsi, ma tutte hanno dovuto ripensare la loro strategia di business. In fondo la VD è stata l’apice del continuo e inesorabile indebolimento dei vantaggi competitivi della piazza finanziaria ticinese nei confronti del sistema Italia.
Uno dei problemi del Ticino è spesso la mancanza di centri decisionali e questo è un ostacolo a uno sviluppo autonomo della nostra economia. Anche il settore finanziario è stato orientato al servizio e alla vendita piuttosto che alla produzione. Questo ne ha influenzato positivamente la crescita, ma ora potrebbe essere penalizzante. Però il settore è fortemente variegato e offre un distretto di servizi finanziari completo. Alla crescita quantitativa del passato potrebbe subentrare uno sviluppo qualitativo integrato fra i vari servizi.
Sul futuro della nostra piazza finanziaria, Morel dice che le potenzialità rimangono, a patto che si sappiano aggiornare le strategie, valorizzare l’innovazione e la tecnologia e dare spazio a giovani preparati. L’attività principale resterà il private banking, ma anche il settore ipotecario resterà importante. Non bisogna però dimenticare che accanto alle banche lavorano quasi 2400 aziende (con 5600 dipendenti) che si occupano di consulenza contabile, fiscale e amministrativa, nonché di intermediazione immobiliare. Anche qui i costi crescenti obbligano a rivedere le strategie, aprendosi a fusioni o acquisizioni. Molto dipenderà anche da come si caratterizzerà il futuro mercato, dopo la soluzione del caso Credit Suisse. Accanto a un grande colosso (sarà monopolista?) come l’UBS, tante piccole strutture saranno confrontate con costi fissi, oneri amministrativi e legati all’evoluzione normativa, nonché ai necessari investimenti informatici. L’impatto della tecnologia sarà fondamentale nei servizi finanziari. Da non dimenticare infine anche le circa 320 aziende del settore assicurativo, con 1800 dipendenti.
Su questa struttura, quali effetti potrebbe avere un colpo come quello del Credit Suisse? È la domanda che corre sulla bocca di tutti gli interessati in questi giorni. Ripercussioni di un certo peso rischiano di essere inevitabili. Le due grandi banche occupano in Ticino circa 1200 persone. Riferendoci a quanto potrebbe avvenire in Svizzera, da noi alcuni hanno stimato circa 300 posti a rischio. Morel è però ottimista. La struttura allargata della nostra piazza finanziaria sarà in grado di assorbire gran parte di coloro che potrebbero perdere il posto di lavoro, dato che si tratta di persone formate e con esperienza. Le banche hanno comunque dimostrato di saper proporre buoni piani sociali per chi non avrà più il lavoro. Del resto, il calo demografico si fa sentire anche nel terziario finanziario e molti istituti faticano a trovare il personale giovane che possa sostituire gli uscenti per pensionamento. Ma per quanto attiene alle piccole e medie imprese, dopo la fusione con UBS, verrà a mancare un importante attore del credito commerciale, dopo che si sono già persi importanti punti d’appoggio come BSI e Gottardo. Potrebbero però nascere nuovi soggetti che, anche con aziende esistenti, potranno far capo a professionalità importanti. Molto dipenderà comunque dal modo in cui UBS saprà risolvere l’ardua questione.