Il deposito costa più di quanto renda

La differenza fra gli interessi pagati e le spese per la tenuta dei conti è a sfavore del cliente ed è dovuta ai tassi ormai vicini a zero, ma anche all’aumento delle spese
/ 17.07.2017
di Ignazio Bonoli

Molte persone che possiedono un conto in banca si saranno accorte che, sugli estratti-conto inviati regolarmente dalla banca, gli interessi maturati sul conto sono inferiori alle spese fatturate dalla banca per la gestione del conto. In effetti, da qualche tempo, col perdurare del livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse, la banca si è vista restringere sempre più i margini di guadagno, per cui ricupera in parte su spese e commissioni fatturate ai clienti.

Il grafico che illustra questa situazione mostra chiaramente che dal 2000, adottando base 100 per l’indice del costo della vita e per l’indice delle spese fatturate dalle banche, il primo si mosso di poco e nel 2016 si situava poco al di sopra del livello di partenza, ma il secondo era salito a ben 180 punti. L’aumento dell’80% non ha mancato di attirare l’attenzione anche del sorvegliante dei prezzi.

Quest’ultimo interviene di solito quando può constatare un ostacolo alla concorrenza. Ora, nel caso del conto bancario, il titolare scontento può sempre cambiare banca e liquidare il conto che non rende. Ma in questo caso alcune banche chiedono spese per la chiusura del conto che possono raggiungere cifre esorbitanti. Lo stesso avviene per il trasferimento di un deposito da un conto a un altro o anche per lo scioglimento di un debito ipotecario. Questo modo di procedere, testimoniato da molti reclami, secondo il sorvegliante dei prezzi è un ostacolo alla concorrenza, per cui ha incaricato il Segretariato di Stato all’economia (Seco) di un esame giuridico della situazione.

La richiesta del sorvegliante dei prezzi si basa sulla nuova legge sulla concorrenza sleale, che è stata inasprita cinque anni fa e il cui articolo 8 prevede il caso in cui una banca renda le spese di chiusura di un conto tali da impedire (senza perdite importanti) la chiusura di un conto e la successiva apertura presso un’altra banca. Si configurerebbe qui il reato di concorrenza sleale. Finora un caso simile non si è mai presentato, per cui si attende con interesse l’eventuale decisione dei tribunali.

Per il momento la questione ha ottenuto l’avallo del professor Thomas Koller, docente di diritto privato all’Università di Berna, che condivide l’opinione del sorvegliante dei prezzi, riassumibile nel concetto secondo cui, se una tassa ha soprattutto lo scopo di evitare che un cliente possa cambiare banca, è sicuramente in conflitto con l’articolo 8 della Legge sulla concorrenza sleale. Dal canto loro le banche tendono a giustificare questo modo di fare con l’argomento dell’aumento dei costi amministrativi. Lo hanno precisato anche in una presa di posizione richiesta dal Seco. Si pensa che perciò nei prossimi mesi si potrà contare su una decisione. Se questa decisione non sarà favorevole alle banche, ci sarà un inasprimento della concorrenza.

Del resto, se prendiamo come metro di giudizio anche solo i bilanci 2016 degli istituti bancari cantonali, vediamo che le banche realizzano tuttora utili considerevoli: si tratta globalmente di 3,4 miliardi di franchi, che significa circa 200’000 franchi per collaboratore. Anche le unità svizzere delle due maggiori banche hanno realizzato un utile di 3,5 miliardi di franchi. Nemmeno l’introduzione degli interessi negativi da parte della Banca Nazionale ha avuto gli effetti paventati. Per contro sono i risparmiatori che si vedono diminuire i loro conti con le spese che superano il reddito degli interessi, oltre la perdita di valore reale dovuta a un leggero tasso di inflazione. Oggi si teme anche che, se i tassi di interesse tenderanno ad aumentare, le tasse e commissioni bancarie non scenderanno e avranno un carattere definitivo.

Il quadro attuale presenta comunque differenze talvolta notevoli da banca a banca. Una statistica allestita dall’agenzia «Moneyland» pone, tra le banche meno esose, al primo posto Postfinance con 53,45 franchi, seguita da Credit Suisse con 57,10 franchi; UBS segue con 115,60 franchi, mentre le banche cantonali come quella di Zurigo (222,50) e quella di Sciaffusa (263,50) sono più care.

Va detto che i confronti sono resi difficili dalla grande diversità di prestazioni fra le banche. Il confronto fatto da «Moneyland» si basa comunque su un pacchetto medio di prestazioni con carte di credito e di debito. Le cifre qui indicate si riferiscono ai conti annuali, dedotti i tassi di interesse, per il primo anno, di un conto privato con 10’000 franchi e un conto risparmio con 50’000 franchi, per un conto utilizzato con frequenza media. In termini macro-economici, dato che i depositi bancari in Svizzera sono di circa 750 miliardi di franchi, la somma delle perdite nette dei clienti sale oltre i 3 miliardi di franchi all’anno.