Che cosa tiene uniti gli svizzeri? Perché quattro comunità linguistiche vivono insieme, tutto sommato pacificamente? Perché le velleità separatistiche, manifestatesi sporadicamente in passato, sono sempre state l’appannaggio di poche ed infime minoranze? Le domande affiorano ogni tanto, soprattutto tra gli osservatori che vivono all’esterno della realtà elvetica. E le risposte arrivano spontanee, a singhiozzi, contenente ciascuna un briciolo di verità. Il merito di questa situazione viene attribuito alla posizione geografica della Svizzera nel cuore dell’Europa, o alla neutralità, o al federalismo, o alla già lunga storia comune, o alla paura di fronte ai pericoli esterni, o al benessere materiale, o ad altre caratteristiche ancora.
Il politologo Michael Hermann affronta la questione in un saggio pubblicato dalle edizioni Zytglogge, intitolato Was die Schweiz zusammenhält. Hermann vi dedica quattro capitoli, al centro dei quali egli colloca quello che chiama il tessuto (Gewebe), che caratterizza il vivere insieme degli svizzeri. Un tessuto che si è costituito attraverso i secoli e che è riuscito a superare indenne numerose difficoltà. L’autore cita alcuni esempi delle prove vinte. La guerra del Sonderbund, a metà del XIX secolo, che oppose i cantoni cattolici e conservatori, ai cantoni radicali e liberali. La nascita del nazionalismo europeo, sempre nello stesso secolo. La Svizzera si è ritrovata circondata da tre dei principali attori del nazionalismo: Francia, Germania ed Italia, con i quali condivideva la lingua e la cultura. Invece di venir assorbita, la Confederazione rimase al di fuori, dimostrando che una nazione che non possiede una cultura unitaria, può essere creata attraverso le istituzioni, le esperienze collettive, la volontà di indipendenza e di distacco dai poteri esterni. La seconda guerra mondiale, quando la Svizzera, nel 1940, restò praticamente da sola, come democrazia parlamentare in Europa, e seppe dimostrare un grande attaccamento alla neutralità ed un grande spirito di resistenza.
Nei tempi più vicini a noi, Hermann ricorda la bocciatura dello Spazio economico europeo, con la votazione popolare del 6 dicembre 1992, un risultato che evidenziò una grande spaccatura tra i romandi, favorevoli, e gli svizzeri tedeschi, contrari. Le tensioni che sorgono periodicamente nell’ambito della perequazione finanziaria, tra i cantoni finanziariamente forti che mettono a disposizione risorse ed i cantoni finanziariamente deboli. O il conflitto linguistico tra romandi e svizzeri tedeschi, che si cela dietro il Röstigraben, un concetto apparso negli anni 70, e che oggi ha trovato nuova linfa nell’insegnamento delle lingue nazionali nelle scuole dell’obbligo della Svizzera tedesca.
Le basi del tessuto che unisce gli svizzeri sono la lingua e la religione. Quest’ultima almeno non coincide più con determinati spazi geografici. Su queste basi s’intrecciano numerose tensioni e parecchi contrasti. Tra la città e la campagna, anche se oggi questa contrapposizione è meno forte, visto che la maggior parte della popolazione vive in piccole città e nelle periferie. Tra la montagna e la valle, tra ricchi e meno ricchi. Questi contrasti vengono attutiti dal federalismo, che propone una variegata rete di cantoni e che non fa sue le tensioni esistenti. Vi sono cantoni grandi e cantoni piccoli, cantoni città e cantoni campagna. Quattro cantoni sono multilingue, otto almeno sono divisi per quanto concerne la religione.
Il federalismo, insomma, non mette in circolazione forze centrifughe e rafforza il tessuto elvetico. La nostra situazione è molto diversa da quella che contraddistingue altri paesi. In Belgio, per esempio, c’è una frontiera linguistica che divide le due principali comunità e che rafforza le tensioni. La contrapposizione linguistica vien rafforzata dalla contrapposizione economica (le Fiandre sono passate da una società agricola ad una società di servizi ad alta tecnologia; la Vallonia è ancora alle prese con le conseguenze della fine della sua industria pesante) e dalla contrapposizione politica (nelle Fiandre prevalgono i conservatori cattolici; in Vallonia dominano i socialisti). L’introduzione del federalismo ha avuto come conseguenza il rafforzamento dell’antagonismo culturale ed economico tra valloni e fiamminghi.
La forza della Svizzera, scrive Hermann, è forse anche quella di essere un piccolo paese, multilingue, con una forte tradizione d’immigrazione e che è «capace di muoversi in modo corretto in un mondo in piena trasformazione». Un piccolo paese che può guardare con fiducia al futuro, ma che deve stare attento all’evoluzione del suo sistema politico, ammonisce l’autore. La democrazia del consenso fondata sulla formula magica e sulla continua ricerca del compromesso non fa più l’unanimità, per lo meno nella prassi dei partiti. In questi ultimi anni, l’ideologia partitica ha prevalso sulla ricerca del consenso. Lo dimostrano le difficoltà che il Parlamento incontra quando deve applicare un’iniziativa popolare approvata dal popolo e dai cantoni, ma che ha spaccato il paese in due, o semplicemente quando deve definire e approvare un progetto. L’iter parlamentare è molto lungo e, sovente, quando vien trovato un accordo l’intesa salta in votazione popolare.