Il club dei putiniani

In Italia in prima fila c'è la Lega di Matteo Salvini
/ 15.08.2022
di Alfio Caruso

A inizio di giugno il «Corriere della Sera» dette ampio rilievo a un documento piovuto dalle segrete stanze, in cui veniva stilata la lista dei presunti putiniani d’Italia. Comprendeva quanti si erano schierati, dietro artifizi dialettici più o meno spericolati, a favore dell’aggressione russa all’Ucraina. Si trattava di giornalisti, professori, politici: molti in cerca di fama e di gettoni di presenza, altri fedeli alla propria ideologia antistatunitense, che nei decenni li ha indotti a sposare tutte le posizioni giudicate idonee a mettere in difficoltà i detestati yankee. Nelle trasmissioni tv e nei social si erano segnalati per un’indefessa campagna pro Putin e contro l’alleanza angloamericana, accusata di aver pianificato fin dal 2019 una guerra preventiva contro la Russia. Figure persino folcloristiche come il docente della Luiss – università fondata da Umberto Agnelli – Alessandro Orsini, sofferente nel deprecare l’invasione, però «che altro avrebbe potuto fare Putin per sfuggire all’assedio della Nato»? Dopo aver annunciato a marzo la vittoria ormai certificata dell’Armata Rossa – una delle tante previsioni sbagliate – Orsini si era sciolto in un commovente attestato di solidarietà ai bambini ucraini con la strampalata citazione di suo nonno «bambino felice sotto il fascismo».

Ovviamente dal fronte avverso si era sviluppata una caccia al putiniano, a volte trasformata in caccia alle streghe con esiti comici. Il caso più eclatante, l’inserimento in questa lista di un giornalista assai stimato come Corrado Augias. La cui unica, presunta colpa poteva essere di aver avuto per suocero un generale dell’aviazione italiana assai critico con gli Usa. Sembravano comunque innocue schermaglie al riparo della posizione fortemente atlantica e pro Ucraina assunta dal governo Draghi. Viceversa, la sua inopinata caduta ha spalancato le porte al partito putiniano, che ha un caposaldo nella Lega di Salvini, ma vanta convinti sostenitori pure nella sinistra estrema. Pertanto, quello che prima poteva essere anche un divertissement, utile a riempire pagine di giornali e dibattiti tv, si è trasformato in un garbuglio maledettamente serio. All’improvviso è entrata in gioco la collocazione dell’Italia. Meloni, grande favorita alla guida del centrodestra nelle elezioni del 25 settembre, si sbatte da settimane per garantire che il Belpaese rimarrà al fianco di Ucraina, Usa, Occidente, Nato. Deve però disinnescare non solo Salvini, ma anche Berlusconi, dichiarato estimatore di Putin: con lui capo del governo è aumentata a dismisura la dipendenza dal gas russo, accompagnata dalle voci di forti interessenze economiche.

Il vero nodo da sciogliere rimane comunque Salvini, erede di quella Lega che all’inizio degli anni Novanta andava a Bagdad per sostenere Saddam e a Belgrado per sostenere Milosevic. Nello stupore financo dei sostenitori si è trasformato in un pacifista a tutto tondo, contrario all’invio di armi, assertore di una fantomatica via diplomatica. Insomma, la pace sulla pelle degli ucraini inseguita da chi predicava il diritto all’autodifesa, pure estrema, contro chi fosse entrato nel giardino di casa. In questa nuova veste Salvini ha già avuto diversi inciampi: dal biglietto per andare a Mosca pagato dall’ambasciata di Roma, alle interlocuzioni di un suo emissario con un funzionario russo ansioso di sapere quando la Lega avrebbe fatto cadere Draghi. Rapporti che di ideologico hanno ben poco, alimentando il sospetto di una dipendenza finanziaria della Lega dalla Russia come scoperto nel 2018 quando in un hotel moscovita un suo esponente trattava una finta compravendita di petrolio dalla quale ricavare una sostanziosa commissione. L’operazione fu scoperta e pubblicizzata dallo spionaggio tedesco con l’assenso di Francia, Gran Bretagna e Usa, benché l’allora presidente Trump manifestasse simpatia sia per Salvini, sia per Putin.

Una crociata europea contro il sovranismo iniziatasi in Austria: c’era stata la manina dello stesso servizio segreto germanico nei due scandali capaci di abbattere il leader di destra Heinz Cristian Strache, attraverso il famoso video girato nella villa di Ibiza con la promessa di aiuto all’ipotetica nipote di un oligarca russo, e il cancelliere Sebastian Kurtz, accusato di «favoreggiamento della corruzione» nell’ambito di un’inchiesta riguardante alcuni sondaggi pubblicati da un quotidiano viennese su commissione del Ministero delle finanze per favorire il suo partito. Da sostenitore occulto di Putin, Salvini pensa di poter rappresentare il malcontento di parecchi imprenditori contro le sanzioni, che starebbero tarpando le ali all’export italiano. Almeno all’apparenza: i dati infatti parlano di un Pil in netta ascesa, a differenza di quello europeo, e rapporti intensificati con la Turchia del giocoliere Erdogan, gran protettore degli intrecci russi e delle conseguenti triangolazioni.

Si guarda anche alla Svizzera, dove miliardari amici di Putin controllano grandi società di trading di materie prime basate tra Ginevra e Lugano. E con le restrizioni in atto gli uomini di Putin non badano al prezzo e promettono lauti guadagni per chi aiuta. Adesso è vero che Putin è riuscito dove nessuno era riuscito prima: convincere gli elvetici a «sostenere» una guerra, dalla quale si erano astenuti dopo la battaglia di Marignano (oggi Melegnano), settembre del 1515. Però è difficile disarticolare un sistema radicato da secoli.