Per comprendere gli effetti economici infausti, che la pandemia continua a dispiegare a livello globale nel periodo 2020-2021, non vi è un unico indicatore, sebbene il crollo del PIL medio su base mondiale nel 2020 (-3,41%) (1) sia più che emblematico. Il punto di partenza deve essere un altro: la crisi del 2020 così come la prospettiva di ripresa economica nel periodo 2021-2022 dipendono da un fattore non economico quale la pandemia.
Evidentemente, ciò è in contrasto con la crisi economico-finanziaria globale (2007/8) contrassegnatasi nel 2009 da un decremento del PIL medio su base mondiale pari a -1,3%: nemmeno la crisi fra il 1973 e 1975 caratterizzatasi per stagflazione (cioè la contemporanea presenza di rialzi dei prezzi al consumo e tendenze recessive oltre che crescente disoccupazione) riuscì a far meglio di -0,6% nel 1975.
Pertanto, le attuali caratteristiche (non economiche) pongono un problema di gestibilità per policy pubbliche in quanto iniezioni di liquidità e provvedimenti fiscali espansivi risultano essere poco efficaci nel contrastare la crisi economica causata dal SARS-CoV-2 rispetto a quanto sarebbe stato per cause bancario-finanziarie. L’aspetto positivo è che (superata la pandemia) i margini di recupero risultino strutturalmente meno compromessi rispetto al periodo successivo alla crisi dei mutui subprime (2007-2010), da cui il sistema economico-finanziario globale uscì profondamente e durevolmente segnato.
Ne deriva una conclusione semplice, ma fondamentale: se la pandemia è la causa della crisi economica, lo strumento di contrasto è altrettanto non a carattere economico e rappresentato dai vaccini contro il COVID-19.Si sarebbe potuto fare meglio − in Svizzera così come altre Nazioni occidentali − per percentuali di vaccinati? Decisamente, sì: ancor più, trattandosi di società avanzate, da cui ci si sarebbe aspettati una più convinta consapevolezza del privilegio di 1) disporre di vaccini ad alta efficacia e sicurezza sebbene sviluppati e commercializzati in tempi da record e 2) avervi accesso gratuitamente con tempistiche ragionevoli. Nel contempo, sono molti gli Stati che hanno fatto o fanno scarso uso del certificato COVID, cioè di uno strumento di convincimento − beninteso: temporaneo, eccezionale e per tempi altrettanto fuori del comune − laddove non sia prevista l’obbligatorietà della vaccinazione.
Allo stesso modo, le tempistiche con cui sono si sono aperte le somministrazioni delle prime e seconde dosi per la popolazione in generale hanno concorso a far trovare il Vecchio Continente scarsamente preparato all’autunno senza avere sfruttato appieno i mesi estivi per accelerare e convincere milioni di reticenti. Il «combinato disposto» di quanto sopra insieme ad un virus che si diffonde senza sosta si riflette, quindi, in tassi di vaccinazione non ancora sufficienti, somministrazioni stagnanti di prime dosi, ripresa dei contagi e rinnovati rischi di crisi economica.
È, altresì, sufficiente osservare le previsioni di (de)crescita del PIL mondiale per il periodo 2020-2021 per rendersi conto che − oltre a rappresentare un precario equilibrio − esse hanno subito una correzione al rialzo agli inizi del 2021 (cfr. colonne evidenziate in tabella), cioè in concomitanza dell’approvazione dei primi vaccini, mentre un tonfo nel mese di ottobre 2020 quando l’Europa tornava in lockdown. L’apertura della dose di richiamo per tutti − la Svizzera ha annunciato di prevederla (3) presto in linea con i risultati scientifici nei Paesi in cui già si somministra, rinunciando così a complicate suddivisioni in categorie che hanno caratterizzato il ciclo vaccinale di base − va nella direzione giusta: anche per il consolidamento delle prospettive di crescita, da cui dipende in ultima istanza il benessere collettivo.
Note:
1. https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG
2. Elaborazione propria di: https://www.imf.org/en/Publications/WEO
3. https://www.cdt.ch/svizzera/la-dose-di-richiamo-sara-presto-aperta-a-tutti-BJ4865157?_sid=4zKbkP9J