Il «beluga spia» sempre in pericolo

Da anni Hvaldimir nuota lungo le coste norvegesi cercando il contatto con l’uomo ma rischia di essere investito dalle barche. C’è chi sostiene sia stato addestrato da Mosca
/ 02.08.2021
di Irene Peroni

Catturare un animale selvatico è relativamente facile, rimetterlo in libertà consentendogli di sopravvivere può essere un’impresa molto più complessa. A più di due anni dal suo primo avvistamento, Hvaldimir, il misterioso «beluga spia» ritrovato non lontano da Capo nord, continua a nuotare su e giù lungo la costa della Norvegia settentrionale, cercando sempre il contatto con l’uomo. Le profonde ferite apparse sul suo dorso nel corso dei mesi sono testimoni del pericolo rappresentato dalle imbarcazioni e dunque oggi si sta pensando di trasformare, per lui, un fiordo in riserva marina con il patrocinio della città di Hammerfest, «la più a nord del mondo». Per realizzare questo progetto alcuni volontari hanno creato l’organizzazione One whale. Il fine è quello di pubblicizzare l’iniziativa e raccogliere fondi a livello internazionale.

Ormai è evidente che il beluga, sebbene libero di prendere il largo in qualsiasi momento, non perde una sola occasione per avvicinare qualsiasi umano incontri sul suo percorso. Così un giorno Nils Roar Selnes, un tecnico specializzato, se l’è sentito arrivare alle spalle mentre era intento a riparare cavi sottomarini nel porto di Tromsø. «Continuava a darmi delle leggere musate, era morbido come il velluto, sarei rimasto volentieri a giocare con lui», ha raccontato alla tv pubblica Nrk. In un’altra occasione la balena bianca si è improvvisamente tuffata per recuperare un cellulare che ha poi restituito alla ragazza a cui era appena caduto in acqua. Incontri come questi ce ne sono stati a dozzine e molti sono documentati da foto e filmati.

La storia di Hvaldimir, che rimarrà per sempre avvolta da un alone di mistero, è degna di un film di spionaggio dei tempi della Guerra fredda. Uno dei tanti paradossi è quello che lo fa avvistare nell’aprile del 2019 da Joar Hesten, un pescatore di professione che fino a quel giorno le balene le aveva cacciate per venderne la carne (la Norvegia prevede l’uccisione di una certa quota annuale di balenottere rostrate). Fu lui a notare la strana imbracatura che cingeva il cetaceo. Determinato a liberarlo, appena si presentò l’occasione si tuffò in acqua e slacciò le fibbie. Così scoprì che le cinghie, dotate di un attacco per telecamera GoPro, portavano un’inequivocabile scritta in inglese: «Equipment St. Petersburg». Malgrado le nette smentite di Mosca – «Se fosse una spia, pensate davvero che gli avremmo messo addosso un numero di telefono chiedendo di chiamarci?», dichiarò ironico un esperto militare russo alla Bbc – i norvegesi hanno pochi dubbi: cetacei e foche vengono addestrati da decenni dalle marine russa e americana. Il candido beluga viene dunque ribattezzato Hvaldimir da hval, balena in norvegese, e Vladimir, il nome di battesimo di Putin.

Qui però inizia anche il dilemma su cosa farne: per vari mesi, pur essendo libero, Hvaldimir continua a bighellonare nel porto di Hammerfest, un luogo caotico e ricco di potenziali pericoli. «Eseguiva dei compiti sperando chiaramente che la gente gli desse da mangiare», spiega Eve Jourdain, scienziata francese che vive ad Andenes, sulle isole Vesterålen, dove ha fondato il Norwegian orca survey. Jourdain capisce fin dall’inizio che Hvaldimir è ammaestrato e ha bisogno di aiuto, dunque sospende la propria ricerca e si trasferisce a Hammerfest. Lì si trova a combattere ogni giorno per educare i molti turisti e visitatori affinché non nuocciano inconsapevolmente al delicato mammifero. All’inizio, lei e il suo team rifocillano il beluga denutrito gettandogli 10-20 chili di aringhe al giorno. Poi, attraverso una telecamera montata sul suo dorso per mezzo di ventose, riescono a monitorarne i primi passi (o colpi di coda) verso l’indipendenza. «Gradualmente abbiamo visto aumentare il suo interesse per i pesci vivi, finché a luglio del 2019 ha abbandonato definitivamente il porto di Hammerfest», ricorda.

Qualche mese dopo l’esperta di orche sente che il suo compito è terminato e ritorna alla sua base sulle isole Vesterålen. «Hvaldimir ora è libero, tuttavia non è un animale selvatico. Purtroppo non credo che possa unirsi ad un branco di suoi simili», ci racconta al telefono. «Cerca continuamente gli umani perché ha bisogno di socializzare e pensa che siano tutti buoni. Dunque è costantemente esposto a comportamenti stupidi e rischia di essere investito dalle imbarcazioni». Ora che è in grado di coprire distanze notevoli e si nutre da solo, Jourdain non vede più la necessità di una riserva marina. «Non è facile dire quale sia la soluzione migliore – osserva – però catturarlo e metterlo in un fiordo vorrebbe dire privarlo ancora una volta della libertà».
Ma se da un lato Hvaldimir ha dovuto rinunciare, suo malgrado, alla vita per cui era nato, allo stesso tempo si è trasformato in una mascotte, anzi, in un inconsapevole paladino che potrebbe cambiare per sempre il rapporto del Paese scandinavo con i grandi cetacei. «Mangiare carne di balena è tradizione, qui in Norvegia, come per altri mangiare manzo o maiale», spiega Jourdain. «Ma incrociare lo sguardo di Hvaldimir crea una connessione, rende possibile comunicarci… È raro che qualcuno possa avvicinarsi così tanto ad una balena. E dunque un’esperienza del genere può cambiare le persone che lo incontrano». Chissà che il beluga che viene dal freddo non riesca laddove Greenpeace ha fallito, facendo breccia nel cuore di altri pescatori come Joar Hesten, e li convinca a desistere dall’antica, radicata tradizione della caccia alla balena.