Introdurre in Svizzera un’identità elettronica univoca, sicura e semplice. È quanto propone la Legge federale sui servizi d’identificazione elettronica, che Consiglio federale e Parlamento chiedono ai cittadini di approvare il 7 marzo prossimo. Si vota perché contro questo progetto è stato lanciato il referendum. Gli oppositori contestano il fatto che per avere un’identità digitale si debba passare attraverso operatori privati. Ed è appunto il ruolo che lo Stato assegna a questi fornitori di identità riconosciuti dalla Confederazione, come banche e compagnie assicurative, a sollevare più di un interrogativo, tanto che il progetto potrebbe anche naufragare. Secondo i sondaggi, infatti, i contrari continuano a guadagnare terreno, attestandosi al 55%. I favorevoli scendono al 40%. Per i promotori del referendum, «i dati sensibili non devono essere gestiti da privati e il rilascio dell’identità elettronica spetta solo alla Confederazione».
Attualmente, per acquistare un biglietto ferroviario, pagare una fattura, leggere il giornale o fare shopping in Internet ci si deve sovente identificare con un nome di utente e una password. Ma queste procedure non sono sempre sicure, anche perché non sono disciplinate da una legge. Non si può dunque contare sul fatto che lo Stato ne garantisca l’affidabilità. Perciò, con la legge sottoposta al popolo, Berna vuole introdurre un’unica identità elettronica (la cosiddetta «Ie»), certificata dallo Stato, in risposta a quella fornita da reti sociali e grandi piattaforme online. L’identificazione elettronica permette di stabilire con certezza che una persona è realmente quella che afferma di essere in Internet. Grazie all’Ie sarà anche possibile compiere operazioni che solitamente comportano la necessità di recarsi sul posto, come aprire un conto in banca o richiedere un documento ufficiale, per esempio l’estratto del casellario giudiziale.
In un mondo sempre più digitalizzato, che ha modificato le abitudini e le esigenze delle persone, l’idea proposta dovrebbe avere tutto per piacere. Il problema – come detto – risiede nel rischio legato alla partecipazione del settore privato. Per gli oppositori, l’«Ie» permetterà infatti di identificarsi nel mondo digitale, come lo si fa con la carta d’identità o il passaporto nel mondo reale. Per loro si tratta di un nuovo documento d’identità, una sorta di «passaporto digitale» svizzero. Al posto dell’Ufficio passaporti, saranno così imprese private ad amministrare i dati sensibili dei cittadini. Il rilascio di un documento d’identità e la sua protezione – sottolineano – deve invece essere una competenza esclusiva dello Stato.
Con la nuova Legge sull’identificazione elettronica, approvata dalle Camere nel settembre del 2019, la Confederazione sarà relegata al rango di mero fornitore di dati, rilevano la ONG «Digitale Gesellschaft» (Società digitale), l’organizzazione svizzera Campax, la piattaforma WeCollect e l’associazione Public Beta, all’origine del referendum, che hanno raccolto 65’000 firme. Esse sono sostenute anche da PS, Verdi, Verdi liberali, UDF, sindacati e associazioni degli anziani. Vi si oppongono pure otto cantoni, a loro volta convinti che il rilascio dei documenti d’identità sia una prerogativa essenziale dello Stato. «I privati non devono quindi impossessarsi di questo compito sovrano e per di più approfittarne». Secondo Daniel Graf, cofondatore di Public Beta, «ogni operazione effettuata online verrà registrata in una base di dati centralizzata. Anche se quest’ultimi dovranno essere cancellati ogni sei mesi (come previsto dall’art. 15, sugli obblighi del fornitore), la loro esistenza è un rischio per ogni utente». Basti pensare ai vari attacchi informatici, tra cui contro Swisscom.
Si tratta di argomenti che Governo e partiti borghesi respingono. Con questa soluzione moderna, la Confederazione conserva i propri compiti sovrani: verifica l’identità delle persone ed esercita la sorveglianza sui fornitori di identità, offrendo le necessarie garanzie in fatto di sicurezza e di affidabilità del sistema. Gli aspetti tecnici sono invece affidati ad aziende, cantoni e comuni. Per la ministra di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter, incaricata del dossier, i ruoli sono chiari e il progetto è sicuro. L’«Ie» non è affatto un «passaporto digitale» e non consentirà a chi ne è in possesso di superare le frontiere. È semplicemente un «login qualificato» facoltativo. Nessuno sarà infatti obbligato a utilizzarlo. Gli acquisti online resteranno possibili senza questa identificazione elettronica.
Responsabile per il riconoscimento e la supervisione del rilascio della «Ie» sarà una commissione federale ad hoc che dovrà vigilare che non vi siano abusi di dati personali. Avrà pure la competenza esclusiva di certificare i fornitori pubblici e privati autorizzati al rilascio delle identità elettroniche. La società emittente dovrebbe essere Swiss Sign Group, che riunisce Posta, FFS, Swisscom, Six, grandi banche e assicurazioni. In base alla legge, i dati possono essere trasmessi solo con il consenso esplicito della persona che usa l’identificazione elettronica, mentre i fornitori possono usare i dati soltanto per l’identificazione. È vietato utilizzarli per altri scopi o trasmetterli a terzi.
L’«Ie» conterrà i seguenti dati d’identificazione: cognome, nome, data e luogo di nascita, sesso, nazionalità e una fotografia. L’utente potrà pure decidere di aggiungervi l’indirizzo postale, email o il numero di telefono. Non tutti i dati saranno sistematicamente trasmessi. Sono stati determinati tre livelli di sicurezza: «basso», «significativo» ed «elevato». L’acquisto di una bottiglia di whisky rientra nella prima categoria; per un estratto del casellario giudiziale saranno invece forniti tutti i dati. L’aspetto concreto dell’«Ie» non è ancora noto e anche il suo prezzo non è stato determinato. Il Consiglio federale intende incoraggiare i fornitori a metterla a disposizione dei cittadini gratuitamente.
Dunque, due le opzioni: lasciare l’identificazione elettronica in mano a privati, con le sue insidie e incognite (inesistenti, secondo governo e parlamento), oppure affidare il rilascio dei documenti allo Stato, come chiede il comitato referendario. I fautori avvertono che un «no» al progetto non sarebbe automaticamente un «sì» a una soluzione solo statale. Non essendo quest’ultima politicamente o tecnicamente scontata, essa richiederebbe anni supplementari prima di entrare in vigore. Per stare al passo coi tempi, la Svizzera non può fare a meno di adottare una legge che garantisca sia la correttezza dell’identificazione, che la protezione dei dati. A pretendere l’esclusività dello Stato, si corre il rischio di perdere il treno.