La peggiore ministra della Difesa della storia tedesca, Ursula von der Leyen, è stata designata dai leader europei alla guida della Commissione. Premesso che non sarà facile ottenere il placet del Parlamento Europeo – al cui vertice un italiano (David Sassoli) subentra a un suo connazionale (Antonio Tajani) – quella che è stata segnalata dai media come una vittoria della Germania a ben guardare non appare tale. Alla scelta della von der Leyen si è arrivati dopo il classico negoziato prolungato fra i principali leader europei, in specie tra Merkel e Macron. Si tratta evidentemente di una candidatura di compromesso, il cui basso profilo segnala per l’ennesima volta quanto scarso sia il rilievo di chi presiede il cosiddetto «governo europeo».
Non solo, all’interno stesso della maggioranza di governo a Berlino questa scelta è stata oggetto di disputa. I socialdemocratici, alla ricerca di una scusa per abbandonare prima o poi un’alleanza con i cristiano-democratici che li sta avviando alla scomparsa, hanno pubblicamente criticato l’opzione von der Leyen. Ciò che ha costretto la cancelliera Merkel, che della sua responsabile per la Difesa non ha mai avuto un’enorme stima, ad astenersi in sede di Consiglio europeo sulla candidata tedesca. Bel paradosso. Destinato forse ad accelerare ulteriormente il tramonto della cancelliera, che rischia di rivelarsi troppo lungo per le necessità della Germania.
Per quanto riguarda le cariche brussellesi, va anche segnalato l’avvento di uno spagnolo alla responsabilità della «politica estera» europea, Josep Borrell. Borrell rappresenta un paese che non riconosce il Kosovo. Siccome il negoziato di questo paese con la Serbia è probabilmente oggi il dossier più caldo su cui l’Alto Rappresentante per la politica estera europea è chiamato a intervenire, sarà interessante vedere se lo spagnolo farà l’europeo o viceversa. Anche perché nella querelle serbo-kosovara si legge, nemmeno troppo fra le righe, la ben più corposa contrapposizione tra Madrid e Barcellona. Borrell starà bene attento a non aprire «involontariamente» sul fronte balcanico un precedente utile ai riottosi catalani.
Contemporaneamente, la signora Christine Lagarde è stata promossa alla successione di Mario Draghi quale presidente della Banca Centrale Europea. Scelta inaspettata, interessante sotto diversi profili. Il più ovvio e rilevante consiste nella sconfitta della candidatura di Jens Weidmann, il capo della Bundesbank, che nelle valutazioni dominanti avrebbe significato una svolta verso l’austerità dopo l’èra Draghi. Evidentemente la Germania non poteva assumersi la responsabilità di una simile virata in una fase di sua debolezza. Tutti gli osservatori considerano scontato che, almeno per i primi mesi del suo prossimo mandato, Christine Lagarde resterà nelle coordinate tracciate d Draghi: tassi di interesse sempre più bassi e quantitative easing più o meno mascherato.
La signora Lagarde brilla per il fatto di non avere una formazione da economista. La sua provenienza scientifica è nell’ambito del diritto. Il suo profilo politico, invece, segnala un carattere forte, con una vocazione per le battute di cui la più celebre è forse quella per cui «se Lehman Brothers fosse stato Lehman Sisters non sarebbe fallito». Più concretamente, la signora Lagarde proviene dall’entourage dell’ex presidente francese Nicholas Sarkozy, che proprio in questi giorni è stato a un passo dal carcere. E non è detto che in futuro non possa subire l’onta di un processo senza precedenti per un capo dello Stato francese. Già questo, oltre ad essere stata sfiorata da un altro caso giudiziario, quello relativo a Bernard Tapie, espone la signora Lagarde a qualche dubbio d’immagine.
Conclusione: più che una vittoria del presunto asse franco-tedesco, il provvisorio quadro delle nomine in ambito europeo testimonia della confusione in cui versano le istituzioni comunitarie, e segnalano il rischio che questo caos possa accentuarsi.