I valori democratici prevarranno?

Dibattito – Se l’Europa stia rischiando un’involuzione autoritaria e xenofoba non è cosa chiara. Di sicuro sta attraversando una fase di ridefinizione dei suoi connotati ideologici
/ 06.05.2019
di Alfredo Venturi

C’è chi inneggia apertamente ai regimi degli anni Trenta, come quegli italiani in camicia nera che urlano slogan di omaggio a Mussolini e salutano col braccio levato la sua tomba in quel di Predappio. O come gli ungheresi di Jobbik che rimpiangono Miklos Horthy, il paradossale ammiraglio che resse con pugno di ferro quel Paese senza sbocco sul mare. O come i greci di Alba Dorata, il cui capo Nikolaos Michaloliakos considera Auschwitz una bufala colossale. O gli spagnoli di Vox con le loro venature neo-falangiste, che vorrebbero riconquistare Gibilterra e intanto sono entrati nel parlamento di Madrid con il dieci per cento dei voti. Tutti contro gli immigrati, contro l’euro, contro le istituzioni di Bruxelles. Sempre caratterizzata da questi tre connotati e a volte da un discreto tasso di antisemitismo c’è anche una destra più prudente e più «politica», attenta a evitare le provocazioni ideologiche, meno portata ad agitare le bandiere delle dittature del secolo scorso, ma altrettanto decisa a scardinare il sistema nel nome di una restaurazione sovranista.

Al punto che sono in molti a porsi una questione piuttosto allarmante: l’Europa sta rischiando un’involuzione autoritaria? Si vanno a rivedere le condizioni che nel periodo fra le due guerre mondiali fecero sì che non soltanto la Germania e l’Italia ma anche molti altri paesi del Vecchio continente abbandonarono i meccanismi democratici e si diedero governi dotati di poteri assoluti. A volte la transizione fu fatta con atti di forza, come in Spagna o in Bulgaria o in Portogallo. Più frequentemente per via elettorale, come in Italia o in Germania, anche se molti dubbi di regolarità gravano su consultazioni viziate dall’intimidazione e dalla pressione violenta. Ma a parte le modalità troppo spesso rudi dell’avvicendamento nella guida dei governi, non si può negare che quelle esperienze politiche furono favorite, almeno inizialmente, da consensi generalmente vasti, più tardi erosi lungo il piano inclinato che precipitava l’Europa verso la guerra.

Scontenti della sistemazione postbellica (la «pace punitiva» per i tedeschi, la «vittoria mutilata» per gli italiani), impoveriti dalla grande crisi dell’economia, impauriti dal comunismo trionfante in Russia, guardavano con favore alle prospettive aperte, almeno a parole, dagli uomini nuovi dell’assalto alle democrazie. Hitler, unsere letzte Hoffnung, si leggeva in un manifesto tedesco nel 1933, l’anno della Machtergreifung, la presa del potere da parte dei nazisti. Un insieme di delusioni e frustrazioni induceva, non soltanto in Germania, a collocare l’«ultima speranza» nel demagogo di turno. Fatte le dovute proporzioni, non è esattamente quello che sta accadendo oggi in molti paesi d’Europa?

Ci sono alcuni punti di contatto fra quella esperienza e l’attuale: è vero che gli europei stavolta non se la prendono tanto con i trattati di pace, né si aggira nel continente uno spettro da esorcizzare come fu a suo tempo quello dei soviet: ma ad affliggerli sono una volta ancora le condizioni insoddisfacenti dell’economia, e nella parte orientale dell’Europa gli sviluppi successivi al collasso del Patto di Varsavia. A spaventarli è la crescente pressione migratoria, spregiudicatamente cavalcata da chi se ne serve come di un’arma. Un altro elemento che ripropone la situazione degli anni Venti e Trenta è la debolezza della sinistra, come sempre divisa davanti ai cruciali appuntamenti con la storia.

L’analogia delle condizioni dovrà necessariamente portare a conseguenze analoghe? Non è detto, è lecito sperare che l’esperienza di allora possa funzionare come deterrente frenando le sbandate autoritarie. Nel dibattito aperto dalle provocazioni nostalgiche è stato detto che il fascismo non è soltanto un sistema di governo, ma anche una mentalità. Ci si può augurare che il suo annidarsi nella memoria collettiva sia anche un contravveleno, che l’Europa possa considerarsi immunizzata da ciò che ha sperimentato negli anni di Hitler, di Mussolini, di coloro che incanalarono tutti i problemi del mondo in costruzioni statuali repressive e totalitarie. Inoltre se negli anni ruggenti la contestazione autoritaria prendeva di mira la Società delle Nazioni, oggi attacca le istituzioni dell’Unione Europea, molto più invasive, dunque in grado di difendersi meglio, rispetto alla quasi impotente organizzazione ginevrina.

Non a caso i sondaggi, occasionalmente confermati da risultati elettorali come quello recente in Spagna, rivelano che di fronte alla frangia rumorosa che rimpiange le camicie brune o quelle nere esiste una massiccia maggioranza che si ostina a credere nei valori rappresentati dalla comunità dei Ventisette: anche se tutti chiedono istituzioni più moderne e più vicine ai cittadini.

Tuttavia i sovranisti non esplicitamente fedeli a un passato impresentabile, ma ugualmente nemici di quelle che considerano le costrizioni brussellesi, hanno messo a segno alcuni punti. Per esempio controllano, da soli o condizionati dalla necessità di alleanze, alcuni governi come a Varsavia o a Roma, o nella Budapest della «democrazia illiberale» di Viktor Orbán, e ne insidiano molti altri. Insistendo soprattutto sull’Europa cristiana minacciata dall’invasione dei diseredati, alimentando la paura della contaminazione etnica e religiosa, che secondo il leader ungherese sarebbe pianificata dalla lobby ebraica di George Soros, contano sul rinnovo imminente del parlamento europeo. Gli oltranzisti sognano di entrare nell’assemblea di Strasburgo per compiervi azioni di disturbo, i sovranisti più moderati progettano di imprimere una svolta alle politiche dell’Unione condizionando dall’interno le formazioni maggiori.

Comunque vada a finire, è chiaro che l’Europa sta attraversando una fase di ridefinizione dei suoi connotati ideologici. Se avremo una riaffermazione o un superamento di quei principi dipenderà dagli elettori. Ma perché si riaffermino i valori democratici è necessario che tutti, a cominciare dagli stessi sovranisti moderati visto che proprio loro rischiano di pagare il conto dei rigurgiti nostalgici, sappiano isolare i gruppi neo-hitleriani, neo-mussoliniani, neo-franchisti. In fondo anche costoro sentono a volte il bisogno di differenziarsi da modelli di riferimento così ingombranti. Non sempre lo sanno fare in modo convincente, certo non quei militanti italiani di CasaPound che si autodefiniscono così: certo che siamo fascisti, ma del terzo millennio!