I vaccini rubano la scena alla Brexit

Il successo della campagna anti Covid sostiene il morale del Regno unito nonostante i lockdown infiniti ma gli effetti dell’uscita dall’Ue si fanno sentire: esportazioni complicate e care, troppa burocrazia
/ 22.02.2021
di Cristina Marconi

Boris Johnson è una delle poche persone per le quali il 2021 si sta rivelando ben migliore del 2020: i vaccini vanno a gonfie vele. Questo tiene abbastanza alto il morale del Regno unito nonostante i lockdown infiniti che però, a loro volta, hanno il vantaggio di rubare la scena a quella che in tempi normali sarebbe stata la storia del momento, ossia la vita fuori dall’Unione europea. Non solo, dopo un negoziato in cui l’Ue è stata impeccabile, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha rovinato in pochi giorni il paziente lavoro di anni, sollevando una polemica con AstraZeneca (che ha dimostrato solo che il Regno unito ha negoziato in modo più scaltro) e minacciando quella chiusura delle frontiere dell’Irlanda del Nord che tutti hanno cercato di scongiurare. Lei si è scusata ma a Londra è rimasta la sensazione di non essersi persa niente, uscendo dall’Ue. E la campagna vaccinale, con il Regno unito in testa con oltre 15 milioni di persone che hanno ricevuto la prima dose di vaccino (dato del 14 febbraio), sembra confermare quest’idea.

Ma non di soli vaccini è fatto il rapporto tra Ue e Regno Unito. A Downing street, comunque, non dispiace che l’attenzione sia tutta rivolta lì, visto che queste prime settimane fuori dall’Unione europea sono ancora piene di insidie di natura pratica. Il problema più immediato e vistoso è quello delle dogane: spedire un pacco da una parte all’altra del confine europeo è diventato un incubo e questo, oltre a essere sentito dai privati cittadini, è un serio problema per gli esportatori. Questi raccontano che «se non si parla francese è impossibile» riempire tutta la documentazione necessaria per mandare nell’Ue i propri beni, sapendo che l’intero processo sarà comunque più caro. E quindi niente custard pies (torte alla crema) sugli scaffali del Continente e prelibatezze europee sempre più care e scarse nel Regno unito. Pacchi postali fermi per settimane alle frontiere (le merci deperibili?) e Amazon che davanti a una spedizione transfrontaliera alza le mani e dice: non ce la faccio.

Secondo un sondaggio delle Camere di commercio britanniche, il 49% delle imprese sta trovando le esportazioni difficili o molto difficili. In molti sostengono che l’unica via d’uscita sia creare una sede nell’Unione europea, se si vuole sopravvivere. Ma con la pandemia a occupare i giornali, ci sono voluti appelli stentorei perché la questione venisse dibattuta. Il fatto che Johnson abbia nominato David Frost, il falco che ha negoziato la Brexit, responsabile delle relazioni future con l’Ue dimostra che l’intenzione è quella di proseguire con i toni duri delle ultime settimane, senza conciliazioni.

Anche il settore della musica e dell’arte è in subbuglio e chiede misure urgenti per permettere alle tournée e alle collaborazioni internazionali di riprendere una volta finito l’incubo della pandemia, mentre i pescatori hanno iniziato a essere scontenti dell’accordo raggiunto già all’alba del 1. gennaio. È stato anche facile attribuire la destabilizzazione della situazione in Irlanda del Nord, dove si sono verificati incidenti spiacevoli ai controlli con la Gran Bretagna, alla malagrazia di Ursula von der Leyen e non a una situazione obiettivamente difficile.

I punti di contatto sembrano essere pochi tra i due blocchi, al momento. Gli europei stanno tornando a casa, tra sterlina in calo, Brexit e pandemia, mentre l’opinione pubblica britannica ancora non sembra aver messo a fuoco l’entità del problema, né è destinata a farlo presto visto che l’estate si preannuncia da trascorrere tutta dentro i confini nazionali. Sullo straordinario successo della campagna vaccinale, con cui si camuffano gli errori del passato e il numero altissimo di vittime nel Paese, oltre 118mila, pesa l’incubo delle varianti e il rischio che rendano vani gli sforzi fatti fino a ora, compreso un lockdown iniziato a novembre e interrotto solo per un pugno di giorni a dicembre.

I toni nazionalistici servono e per una volta non sono del tutto inopportuni. La scommessa di tirarsi fuori dallo schema europeo per l’acquisto dei vaccini è stata più che vincente, anche se a luglio scorso sembrava scriteriata e spericolata. E l’anticipo nell’approvazione del vaccino Pfizer, fatta il 2 dicembre con prima iniezione l’8, ha permesso di dare il via a una campagna pianificata da tempo. Il resto lo ha fatto un sistema sanitario che sa operare meglio in emergenza che nella normalità e che mantiene una presenza capillare e un rapporto molto stretto con la popolazione, anche se per raggiungere certe comunità c’è voluto uno sforzo in più, come ad esempio creare dei centri di vaccinazione nelle moschee. Ma gli sforzi non sono bastati. Tanto che ora si teme che tra gli ultrasettantenni che hanno rifiutato il vaccino si possano creare le condizioni per l’emergere di una nuova variante, facendo crollare l’intera operazione.

Anche per questo il Governo sta cercando di controllare il più possibile gli arrivi nel Paese, con un obbligo di quarantena negli alberghi che però fatica a decollare e sembra arrivare sorprendentemente tardi in un Paese in cui la popolazione è ferma in salotto da sette settimane. Il vaccino usato nel Regno unito, quello di AstraZeneca, è stato criticato per la sua presunta scarsa efficacia nelle persone con più di 65 anni e soprattutto è stato rispedito al mittente dal Sudafrica dopo che si è scoperto che non funziona contro la preoccupante variante locale.

Ad ogni modo il Governo è riuscito a scongiurare il senso di impotenza che aveva dominato il 2020 e a distogliere l’attenzione dall’uscita dall’Ue. Non c’era bisogno della Brexit perché Londra agisse da sola, ma certo da un punto di vista diplomatico sarebbe stato molto più difficile da gestire e giustificare. E ora è molto più utile poter dire che con la Brexit il Paese ha segnato un punto, permettendo a Boris Johnson di riemergere dall’oltretomba politico verso il quale sembrava prematuramente avviato.