Dobbiamo fermare i nuovi barbari, dice Beppe Grillo. Ma questi nuovi barbari non sono forse gli uomini della Lega, con i quali il Movimento Cinque Stelle aveva stretto un accordo di governo proprio con la benedizione del comico prestato alla politica? Il fatto è che molte cose sono mutate dal varo, un anno fa, del «governo del cambiamento» nominalmente pilotato da Giuseppe Conte. Una delle due componenti di quella eterogenea maggioranza ha divorato il vantaggio con cui l’altra era stata premiata dagli elettori. La furibonda predicazione di Matteo Salvini, prima contro l’«invasione» dei migranti quindi contro le limitazioni che in nome della stabilità continentale l’Unione Europea impone ai suoi membri, ha fatto centro, i sondaggi ci parlano di oltre un terzo dell’opinione pubblica schierato con il ministro dell’Interno. Lui si sente incoraggiato dal consenso popolare, cerca bagni di folla da una spiaggia all’altra e nonostante le frequenti contestazioni arriva a chiedere pieni poteri.
Pieni poteri? Per molti italiani è un’espressione da brivido. Ma certo a molti altri piace. Indispettito da un voto parlamentare con cui i Cinquestelle si sono espressi contro la Tav, la tratta ferroviaria ad alta velocità che la Lega auspica e i grillini detestano, Salvini ha improvvisamente annunciato che «non c’è più maggioranza» aprendo di fatto la crisi. E così nel Paese minacciato dalla recessione e oberato dal debito si sono aperte prospettive incerte. C’è voluta la reazione del presidente Conte, appoggiato dal capo dello Stato Sergio Mattarella, perché la vicenda venisse ricondotta nell’alveo suo proprio, che è quello parlamentare. Se si vogliono esercitare pieni poteri, che almeno discendano da procedure corrette: sia il parlamento a sfiduciare il governo e poi si dia la parola agli elettori. Il passaggio parlamentare non piace affatto al «capitano» leghista: non tanto perché lo considera un fastidioso impiccio, ma soprattutto perché nelle due Camere, uscite dal voto del marzo di un anno fa, i rapporti di forza fra Lega e Cinquestelle sono esattamente rovesciati rispetto a quelli misurati dai sondaggi.
Per la stessa ragione i grillini non hanno alcuna voglia di votare, visto che non li aspetta l’esito trionfale dell’anno scorso. Per fissare il calendario della crisi tutti si rifanno all’autorevolezza del presidente Mattarella ma in realtà c’è chi, come i leghisti ansiosi di passare all’incasso, lo tira per la giacca, e chi lo invita implicitamente a ponderare i passaggi, tenendo ben presenti le obbligazioni europee e prima ancora l’esigenza ineludibile di difendere il rispetto delle regole democratiche. Seguace di Donald Trump e amico di Viktor Orbán, il teorico dell’autoritarismo illiberale, Salvini dà l’impressione di non considerarle così essenziali. Anche se un passo compiuto verso Silvio Berlusconi sembra obbedire non solo alla volontà di riproporre la vecchia alleanza di centro-destra, ma anche al desiderio di esibire una verginità democratica. Per lui l’importante è trattare con Bruxelles da una posizione di forza, meglio ancora non trattare affatto ma imporre unilateralmente un aumento consistente del deficit di bilancio, e con le risorse così liberate finanziare il programma: riduzione dell’imposta sul reddito con una sola aliquota, no al paventato aumento dell’Iva.
La crisi ha riportato sulla scena un personaggio politico da tempo eclissato, l’ex presidente Matteo Renzi. All’interno del Partito Democratico costui controlla una corrente di fedelissimi, spesso in rotta di collisione con il segretario Nicola Zingaretti. Questa corrente è abbastanza forte nei gruppi parlamentari, dunque Renzi non ha fretta di andare al voto, visto che le candidature saranno decise dalla nuova segreteria e dunque la sua pattuglia ne uscirà più o meno ridimensionata. Per questo chiede di procedere con calma, invocando la necessità di mettere in sicurezza i conti dello Stato, e lo Stato stesso, dall’assalto salviniano. Insomma accenti simili a quelli dei Cinquestelle, ed ecco profilarsi una spettacolare evoluzione. L’uomo che aveva detto «mai e poi mai con i grillini» lancia segnali di disponibilità, peraltro accolti con qualche imbarazzo, a un’intesa proprio con il Movimento uscito malconcio dal mortale abbraccio della Lega. L’antitesi è totale con Zingaretti, che insiste per il voto prima possibile e respinge ogni ipotesi di collaborazione con i Cinquestelle.
Accomuna molti partiti il desiderio di contenere l’onda salviniana, considerata non soltanto avventurosamente anti-europea, ma anche portatrice di potenziali pericoli per la democrazia. Salvini sperava di realizzare il disegno di Steve Bannon, che cerca di esportare in Europa e altrove il modello Trump, rovesciando con il voto i rapporti di forza nel parlamento di Strasburgo. Non è andata precisamente così, visto che gli alleati sono sì cresciuti, ma senza ripetere l’exploit della Lega. Dunque si ripromette di fare da solo. Sarà lui a scardinare gli equilibri di Bruxelles, per esempio imponendo un deficit al 3,5 per cento. I mercati faranno a pezzi l’economia italiana, già di salute così cagionevole? I mercati si adegueranno, risponde Salvini, stimolato dal fatto che queste sparate, non meno che quel suo sbaciucchiare crocifissi, fanno scattare l’applauso nei comizi.
La vicenda italiana insegna che il populismo di destra, nazionalista e sovranista, è incompatibile con il populismo di sinistra, pauperista e assistenzialista. Le due parti di quel governo bicefalo hanno fatto cortocircuito, confermando la fragilità di ogni assetto democratico nell’era degli intrecci globali e delle migrazioni di massa. L’odissea della Brexit e quella delle navi cariche di profughi bloccate davanti ai porti italiani dimostrano quanto quegli intrecci siano inestricabili. Lo scenario prossimo venturo propone lo spettacolo di un’Unione Europea alle prese con Boris Johnson e Salvini, insidiata dall’interno e assediata dall’esterno, con Mosca, Washington e Pechino pronte a disputarsene le spoglie. Se l’Europa democratica non si dà una mossa rovesciando le spinte centrifughe sembra proprio destinata, prima o poi, a svanire come un sogno del passato.