Foto di famigliole, con bambini e con cani, sul divano e in cucina. Coppie che si abbracciano, anche composte di partner dello stesso sesso. Per una settimana la rete russa di supermercati VkusVill è diventata un inatteso faro progressista per aver equiparato nella propria pubblicità diversi modelli di famiglia. Ma una settimana dopo le immagini sono state eliminate e la società – la cui proprietà, secondo alcune voci moscovite, risale alla cerchia degli amici del Cremlino – si è scusata per aver «offeso dipendenti, clienti e fornitori». La paura del possibile boicottaggio da parte della clientela ha prevalso sui timori di fare brutta figura tra l’élite moscovita (i croissant alla mandorla di VkusVill sono diventati un cult tra i giovani dopo essere apparsi nei post di Alla Gutnikova, l’influencer agli arresti domiciliari del giornale studentesco «Doxa»), dopo una valanga di commenti di odio e minacce di violenza fisica apparsi sui social.
Un episodio che fino a qualche anno fa sarebbe stato attribuito all’arretratezza culturale della Russia, al pesante retaggio del passato totalitario, alle difficoltà del cammino verso l’Europa, insomma, a un passato che getta ombre sul cammino verso il futuro. Ma mentre in Georgia la comunità Lgbt+ è stata costretta a cancellare la parata del Pride, che rischiava di venire attaccata nelle strade di Tbilisi da gruppi di picchiatori intenzionati a difendere la tradizione del machismo caucasico, tra Parigi, Roma, Budapest e Varsavia si sta delineando una alleanza politica la quale fa temere che quel che sembrava un passato da superare potrebbe rappresentare un possibile futuro.
Vladimir Putin non viene menzionato nel manifesto per una «Unione dei patrioti» («Appello per il futuro dell’Europa»), scritto da Marine Le Pen e condiviso da Viktor Orban, dal Partito diritto e giustizia (PiS) di Jaroslaw Kaczynski in Polonia, dalla Lega di Matteo Salvini e dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, insieme ad altre forze nazionaliste e sovraniste di Spagna, Belgio, Finlandia, Austria, Grecia, Estonia e Lituania. Ma l’ombra del leader russo si delinea chiaramente dietro la sfida che i «patrioti» lanciano all’Unione europea. Famiglia tradizionale da difendere dal movimento Lgbt+, incentivi a fare figli «autoctoni» per bloccare l’immigrazione, richiami alle radici nazionali e religiose per «un’Europa dei popoli» invece di un «super Stato senza più Nazioni».
I leader euroscettici abbandonano almeno per il momento la minaccia di una «exit» dall’Europa unita, per formare un fronte interno che di fatto rappresenta un’alternativa valoriale, ancora prima che politica, all’Unione europea, con la sua idea fondante di diritti individuali e confini sempre più aperti.
La nuova alleanza politica vorrebbe, nelle sue ambizioni, contare su 115 voti al Parlamento europeo, diventando il terzo gruppo dopo i popolari e i socialdemocratici. Un progetto ancora tutto da costruire. Ai «patrioti» non si sono unite formazioni di destra importanti come l’Alternative für Deutschland tedesca, il Partito della libertà dell’olandese Geert Wilders, ormai un patriarca del movimento xenofobo, e altri gruppi influenti, mentre all’interno del gruppo dei firmatari non mancano i contrasti. Alcuni di loro – come Salvini nella recente intervista al «Financial Times» – hanno lanciato contemporaneamente messaggi più moderati, sperando di mostrarsi più vicini all’establishment europeo e di avvicinarsi al contrario al Partito popolare europeo (Ppe), con il quale ha rotto invece Orban.
Al di là dei giochi politici resta un segnale inquietante: il tentativo di far nascere un’alleanza continentale di forze che mettono in discussione la natura stessa del modello europeo e che non a caso guardano quasi tutti a Mosca. Molti leader sovranisti hanno ricevuto aiuti politici o economici diretti dal Cremlino, e altri eleggono a loro modello il suo ruolo di paladino delle tradizioni e le tentazioni autoritarie. La destra italiana si schiera contro le proposte di legge di penalizzare i crimini di odio razziale o sessuale (Legge Zan). La legislazione sull’aborto imposta dal PiS è addirittura molto meno liberale di quella russa e le pressioni sulla stampa e sulla giustizia indipendente in Ungheria e Polonia ricordano molto la discesa verso la censura della Russia di Putin (anche se a Varsavia il sentimento anti-russo rimane molto intenso). Ma soprattutto a trionfare è l’idea di un mondo a somma zero, dove per avere qualcosa bisogna toglierlo agli altri, dove la concessione di maggiore libertà per le persone Lgbt+, le donne, gli immigrati, viene vissuta come una riduzione di libertà per chi si sente privato dei propri privilegi ereditari.
Una sindrome di assedio, un rifiuto del cambiamento che hanno accomunato, in un’alleanza stranissima, la «vecchia» Europa occidentale di Jacques Chirac, ancora perplessa riguardo all’allargamento a est ritenuto troppo povero e autoritario, e la «nuova» Europa post-comunista ancora sotto shock per quello che ha scoperto oltre il Muro. Il sovranismo e l’euroscetticismo sono in buona parte frutto della rabbia per l’allargamento a est, ma la nostalgia di un passato all’ombra del Muro unisce partner che altrimenti si troverebbero spesso agli antipodi. E la Russia avvinghiata al passato diventa un modello per i conservatori, paradossalmente in maniera speculare all’Unione sovietica che rappresentava per un pezzo di sinistra europea un esempio di futuro. Ma nell’apparente convergenza delle due metà europee del sovranismo si nasconde in realtà un movimento che porta in direzioni molto diverse.
L’Europa dell’est possiede delle attenuanti: sta vivendo la stessa sindrome post-traumatica che dopo il crollo del Muro ha portato al potere personaggi come Vladimir Putin e Alexandr Lukashenko, nostalgici restauratori dell’Unione sovietica, ma anche le ferite inflitte a un’identità stravolta dalle guerre e dai massacri del Novecento. Una storia spesso ignorata dai cugini d’Occidente, così come il fatto che Kaczynski e Orban si scontrano nei loro Paesi con un’opposizione serrata, che fa sperare in un’evoluzione spinta anche da un cambio generazionale (lo stesso che sta facendo vacillare il consenso per Putin e Lukashenko). L’Europa dell’est non ha ancora completato la sua difficile traversata verso il futuro europeo, mentre si imbatte in un pezzo dell’Europa occidentale che viaggia in direzione opposta, che quel futuro lo rifiuta. Un mix di traumi e paure che potrebbero annientarsi a vicenda, oppure diventare una miscela esplosiva per l’Europa, e la cui sorte dipenderà anche dal Cremlino, in particolare dalla sua capacità di rimanere un modello di passato impossibile.
I «patrioti» che sfidano l’Europa
L’inquietante tentativo di creare un’alleanza occidentale che strizza l’occhio a Vladimir Putin e si aggrappa al passato
/ 12.07.2021
di Anna Zafesova
di Anna Zafesova