I grattacapi di Francesco

Il Papa ha nemici accaniti soprattutto in Germania e negli USA
/ 12.06.2023
di Alfio Caruso

Malgrado la salute altalenante, Papa Francesco non desiste dal progetto di mettere la Chiesa al passo con i tempi e soprattutto con le sfide della modernità: dall’omosessualità al ruolo delle donne, dalla comunione ai divorziati passando per la contraccezione. A marzo sono stati dieci anni dalla sua elezione al soglio pontificio (leggi Tra slanci e sconfitte di Giorgio Bernardelli pubblicato su «Azione» del 13 marzo scorso). Un periodo contrassegnato da una robusta contrapposizione con la Curia nel segno di due impegnative contese: contro la pedofilia clericale e contro la gestione fin troppo allegra delle finanze vaticane. Non le ha vinte e non le ha perse, le combatte ancora in un ambiente invelenitosi anno dopo anno, nel quale si guarda a ogni suo ricovero in ospedale, l’ultimo settimana scorsa per un intervento all’addome, con un misto di terrore e di speranza, a seconda dei propri sentimenti: il terrore di perderlo, la speranza che le sue condizioni fisiche lo costringano al passo indietro senza doverne aspettare la morte. Delle proprie dimissioni Francesco ha parlato più volte, ma l’impressione è che l’enunciazione teorica non sia accompagnata da una esplicita volontà. Insomma, a dicembre saranno 87 anni, però il diretto interessato appare ben saldo sul trono di Pietro.

Nonostante provenga da una famiglia ligure-piemontese trasferitasi in Argentina quasi un secolo addietro, Jorge Mario Bergoglio non si fida dell’ambiente italiano. Lo si è capito il giorno stesso del suo insediamento con il rifiuto di trasferirsi nel Palazzo Apostolico e la scelta di eleggere a proprio domicilio la Casa di Santa Marta, dov’era stato ospitato, assieme agli altri cardinali, nei due conclavi del 2005 e del 2013. Una scelta di rottura netta, senza precedenti. I malevoli vi hanno letto il timore di finire vittima di una congiura, come al tempo dei Borgia; i realisti il desiderio di sottrarsi ai giochi di potere e alle voci di corridoio, che indussero il suo predecessore Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, alle clamorose dimissioni. Proprio la convivenza con il papa emerito Ratzinger, capace per mezzo secolo di dettare la linea pastorale del Vaticano, è stata utilizzata dai nemici di Francesco per accusarlo di rasentare l’eresia con le sue aperture.

Lo scontro fra conservatori e riformisti si è incarognito nel corso del pontificato. A differenza del passato, sono stati il clero tedesco e statunitense a portare avanti una contestazione sempre più aspra legittimando, addirittura, le voci di uno scisma. Persino la comunione a Biden, il secondo cattolico, dopo Kennedy, a diventare presidente degli USA, è stata oggetto di una violenta polemica per la posizione favorevole all’aborto dello stesso Biden. A sua difesa è dovuto intervenire pubblicamente il Vaticano con immancabile malumore dei settori tradizionalisti.

Non a caso gran parte dei vescovi americani si era dichiarato per Trump durante la campagna elettorale del 2020 e l’identica posizione sarà probabilmente assunta nella prossima tornata tra una manciata di mesi. Tuttavia, il cuore della ribellione è in Germania, dove i più accaniti avversari di Francesco sono alla ricerca di un moderno Martin Lutero voglioso di appendere un po’ di tesi, ne basterebbero anche meno di 95, al porticato di una chiesa.

Bergoglio paga pure l’essere il primo Papa gesuita. All’interno delle mura leonine la compagnia è sempre stata guardata con sospetto; mai sono piaciute la presenza in prima fila e la brillantezza, giudicata eccessiva, di alcuni suoi esponenti, bravissimi nello stare in bilico tra Dio e Cesare. L’antesignano di Francesco è stato il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. Esegeta oltre che biblista di smisurata cultura teologica, fu il principale esponente del dialogo fra le religioni, soprattutto l’ebraismo, i cui fedeli amava definire «fratelli maggiori». Tra Martini e papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, si era sviluppato, al riparo delle cortesie formali, un robusto conflitto sul ruolo della Chiesa. Martini guardava all’Europa, Wojtyla all’America Latina: il crollo dei fedeli nel Vecchio Continente sembra dare ragione alle preoccupazioni di Martini. Nel conclave del 2005 sarebbe stato il principale avversario di Ratzinger, se il Parkinson non l’avesse già aggredito. Il tentativo di spostare i suoi suffragi su Bergoglio, che arrivò a raccoglierne una quarantina su 113, fu alla fine bloccato dal diretto interessato che disse di non sentirsi pronto. Lo era, invece, nel 2013 allorché bastarono cinque scrutini per designarlo pontefice con 90 voti. Era il primo a provenire dalle Americhe, «dalla fine del mondo», dirà lui. A sostenerlo, oltre ai vecchi tifosi di Martini e ai cardinali latino americani, quanti volevano regolare i conti con quanti avevano spinto Benedetto XVI alle dimissioni.

Nella fase forse più delicata del suo magistero Francesco cerca di risolvere una delle crisi più devastanti del dopoguerra, l’invasione russa dell’Ucraina. In questi mesi ha mostrato una notevole duttilità capendo che approntare piani di pace è assai complicato con le pregiudiziali poste dagli uni (via i russi dal nostro territorio) e dagli altri (non rinunciamo alla conquista del Donbass). Ha ricevuto Zelensky, benché fosse informato che le distanze non sarebbero state colmate; è prontissimo a visitare Putin, benché sappia che l’altro lo vorrebbe usare con la complicità del patriarca ortodosso Kirill. Ha avuto l’intelligenza di lanciare l’iniziativa dell’ascolto, una sorta di preparazione all’inevitabile trattativa, e l’ha affidata a una personalità emergente tra i suoi prescelti, il cardinale Matteo Zuppi fresco presidente della Conferenza episcopale italiana. La settimana scorsa è stato a Kiev, nelle prossime dovrebbe recarsi a Mosca. Lavora per la pace e secondo molti osservatori pensa alla successione di Bergoglio.