Da economisti si è stati, negli anni recenti, confrontati con alcune tematiche ricorrenti a tal punto da poterle a ragione considerare «tormentoni»: nel caso svizzero, probabilmente, è l’evoluzione del tasso di cambio CHF/EUR ad esserlo stato, in quello europeo la crisi del debito, mentre nella casistica specifica italiana il concetto di spread.
Quest’ultimo – più propriamente, si dovrebbe parlare di «differenziale di rendimento» (fra titoli di Stato decennali italiani e tedeschi) – ha monopolizzato le pagine economiche del 2011, quando molti Paesi dell’Eurozona (in particolar modo Italia, Grecia, Portogallo e Spagna) registrarono un ampliamento più che allarmante dei tassi d’interesse sui titoli pubblici di nuova emissione rispetto a quanto richiesto dai mercati finanziari internazionali al Governo tedesco per rifinanziarsi. In altri termini, se il rendimento corrisposto sui bond germanici è considerato il top standard – non a caso, essi godono del rating massimo di «tripla A» (AAA) –, quello degli altri Paesi europei è determinato appunto da quello tedesco con l’aggiunta di un «di più», cioè dello spread.
Sebbene le forze politiche abbiano allora (come oggi) «etichettato» i rialzi subiti come una nuova modalità per provocare cambi ai vertici di Governo e – la «teoria della congiura» risuona sempre accattivante – ciò possa forse essere stato anche il caso, c’è poco da filosofeggiare sugli attori esattamente coinvolti, poiché rimane pur sempre un fatto economico incontrovertibile: lo spread aumenta non solo perché un Governo è inviso agli investitori istituzionali internazionali, ma anche per via del fatto che la classe politica non viene ritenuta in grado di gestire una situazione economica pubblica delicata quanto quella italiana (2.311,70 mld. Euro di debito pubblico ad aprile 20181). Per capirci: l’assenza di un Governo in Germania dal 24 settembre 2017 al 23 febbraio 2018 – fatto, che potrebbe dire già molto sull’establishment politico – non ne ha «smosso» i rendimenti sui bond. I meccanismi vigenti in tal ambito economico poco differiscono da quelli legati a concetti quali «reputazione», «affidabilità» e «credibilità». Ecco, quindi, che non si sarebbe ora voluto alimentare nuovamente la tematica dello spread, se non fosse che essa sia tornata alla ribalta nell’anno corrente. L’instabilità politica italiana (dal 4 marzo al 1. giugno 2018) insieme a quella spagnola – in un macrocontesto fatto di Presidenza BCE a termine di mandato, Governo «Merkel IV» che accusa colpi di stanchezza ed incertezze geopolitiche generalizzate – ha, quindi, determinato un rialzo da 136,1 (5.3.2018) a 227,8 (15.7.2018) con «picchi» di 304,4 (29.5.2018), ma anche «valli» di 125,5 (5.4.2018) punti base.
La verità è che lo spread – in una Nazione il cui apparato statale dovrà nel biennio 2018-2019 collocare titoli del Tesoro per circa 380 mld. Euro l’anno4 – si dimostra ancora una volta sensibile a dichiarazioni incaute, rumors e boutade. E ci si «metta il cuore in pace» che con variazioni dello stesso si dovrà convivere: infatti, essendo la «valvola di sfogo» dei tassi di cambio stata bloccata a livelli nominali paritari (1 € «italiano» = 1 € «tedesco» = 1 € «francese» etc.), come un fiume (alias le differenze macroeconomiche fra Paesi sotto il «tetto» della moneta comune) che cambi il suo letto, sono le condizioni di rifinanziamento degli Stati meno «sani» a farne ora le spese. Inutile dire che ciò sia, forse, più pericoloso dell’instabilità valutaria che l’unione monetaria ha eliminato fra Paesi membri. Nel contempo, non tiene alla prova dei fatti nemmeno l’argomentazione politica dei nemici dello spread, cioè che allora non si possa cambiare lo status quo e che il voto non abbia una grande incidenza rispetto alla «volontà dei mercati».
Non è l’eventuale desidero di cambiamento a spaventare – i mercati sono pur costituiti da individui – quanto le modalità con cui viene evocato: l’assenza di proposte di riforma (anche importanti) ragionate e la formulazione di dichiarazioni contrastanti sono, da sempre, «veleno» per la credibilità, come già ricordava l’ex Presidente BCE Jean-Claude Trichet parlando dell’assenza anche a livello comunitario di verbal discipline. Nell’iniziare una trattativa o nell’avanzare le proprie alternative è sì fondamentale la fermezza, ma anche chiarezza ed autorevolezza – in altri termini, se possibile, l’attore politico «portavoce» di essa dovrebbe essere trasversalmente rispettato ed «inattaccabile» per rigore e capacità. Trattasi dell’ABC (valido anche per quei Paesi presi a modello) della comunicazione economico-politica, cioè 1) del «chi-dice-cosa-quando-e-come-a-chi?» e 2) del fatto che prima di esternare (in particolar modo, nell’epoca dei social media dove le notizie divengono «virali» se non già fake news in partenza) le affermazioni dovrebbero essere sempre «blindate» da un punto di vista logico-contenutistico.
Nota
1. http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/finanza-pubblica/2018-finanza-pubblica/statistiche_FPI_20180615.pdf
2. http://finanza-mercati.ilsole24ore.com/spread.php?QUOTE=spread-btp&refresh_ce
3. http://www.ilfoglio.it/politica/2018/05/28/video/governo-cosa-e-successo--da-4-marzo-a-oggi-mattarella-cottarelli-lega-m5s-197210/
4. http://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/06/12/sta-nostro-debito-pubblico-lanalisi-dei-titoli-principali-indicatori/?refresh_ce=