I cantieri rosa di Addis Abeba

La capitale etiope sta crescendo a ritmo serrato, con una trasformazione sorprendente per una città africana. L'esplosione edilizia ha creato posti di lavoro e molte donne hanno deciso di fare le muratrici, a fianco degli uomini
/ 23.01.2017
di Stefania Prandi

Hanno le mani coperte di polvere, la bocca avvolta in sciarpe, i piedi fasciati in ballerine di plastica infangate. Si muovono con decisione, mostrando qualche segno di cedimento soltanto quando si fermano, nelle pause ordinate, per alcuni minuti. Allora scuotono i polsi, aprono e chiudono le dita e piegano la schiena in avanti e indietro. Poi ritornano al lavoro, accanto ai loro colleghi maschi. Le muratrici di Addis Abeba sono giovani donne con grinta da vendere. Hanno tra i 20 e i 30 anni, corpi forti, occhi freschi, che si appannano solo verso sera. Molte si sono trasferite in città da poco, altre sono arrivate da qualche anno. Prima lavoravano in fabbrica o come domestiche, in case private.

Addis Abeba sta crescendo a ritmo serrato, con una trasformazione sorprendente per una città africana. Strade, palazzi, ponti prendono il posto di baracche e campi, contribuendo a uno sviluppo senza precedenti. L'economia dell'Etiopia ha il tasso di crescita più veloce al mondo, secondo la Banca Mondiale. Il consumo di cemento è di 5,47 mega tonnellate all'anno. C'è chi parla di speculazione. Di certo c'è che l'esplosione edilizia ha creato posti di lavoro che prima non c'erano. Qui, contrariamente a quanto accade nei paesi occidentali, molte donne fanno le muratrici, a fianco degli uomini.

La vita nei cantieri non è semplice, ma è meglio di altri lavori informali e soprattutto della disoccupazione. La paga è di 66 euro al mese, in media, domeniche incluse. I turni tra i mattoni e i sacchi di cemento iniziano all'alba. E allora le muratrici escono di casa alle tre di notte, per percorrere a piedi i tratti non coperti dagli autobus. Lavorano otto o nove ore, con quarantacinque minuti di pausa pranzo. Alcune si portano della pasta in contenitori di plastica, altre spendono mezzo dollaro per mangiare ingera e shirò, il piatto tipico etiope, fatto con acqua, farina di teff (un cereale proteico che si coltiva sugli altopiani) ceci e verdura. Lo comprano nelle piccole capanne di lamiera vicino ai cantieri, dove ci sono cuoche che cucinano dalla mattina.

Beza ha 27 anni, due bambini che vivono lontani, con la nonna, nella regione dell'Oromia. Lavora in un cantiere non lontano da Bole Road. Per per fare ritorno nella stanza in affitto di terra battuta e lamiera, deve prendere un autobus, un taxi, un calesse e poi camminare per venti minuti. Certe sere, per risparmiare, salta la cena. Non ha più il marito perché è morto tre anni fa, ucciso durante una rissa. «Questo lavoro mi piace, anche se certi giorni è un po' faticoso, ma mi va bene così. Non sono andata a scuola, non so né leggere né scrivere, la vedo come un'opportunità». A farle compagnia, nel viaggio di ritorno, c'è Tessy, sua collega da due settimane. Tessy ha 25 anni e un figlio di quattro. Vive con la sorella, che ha due bambini, e tiene anche il nipotino, mentre lei è fuori.