Hu Shuli, si è dimessa la tigre del giornalismo

Media – La fondatrice di Caixin media era considerata la donna più influente e pericolosa della Cina: si era forse spinta troppo nel criticare Xi
/ 29.01.2018
di Giulia Pompili

La chiamano la Signora più pericolosa della Cina. Il problema è che forse, adesso, non lo sarà più. All’inizio di gennaio Hu Shuli, una delle giornaliste più famose d’Asia, il cane da guardia del business e della politica cinese, si è dimessa. Sessantacinque anni, figlia d’arte, scuole d’eccellenza, la Hu è la fondatrice di Caixin media, un gruppo editoriale che sin dal gennaio del 2010 segue l’economia e la finanza cinese. Non sono ancora chiari i motivi delle sue dimissioni: secondo un comunicato molto freddo diffuso qualche giorno fa dall’azienda, Hu verrà sostituita nel ruolo di direttore editoriale da Wang Shuo, che è stato il suo caporedattore e braccio destro per anni. «La fondatrice Hu continuerà a servire l’azienda con un ruolo più fumoso, ma manterrà l’incarico di amministratore delegato e di presidente.

È la fine di un’èra», scrivono da giorni sui social network gli osservatori di affari asiatici. Perché Caixin in otto anni, e sotto la sua direzione, non solo è diventato uno dei media cinesi più famosi all’estero, ma anche il più temuto all’interno della Cina grazie agli scoop e agli scandali pubblicati senza paura dalla sua direttrice. Ed è riduttivo parlare soltanto di un giornale: fanno parte infatti del gruppo editoriale quattro magazine («Caixin Weekly», «Century Weekly», «China Reform» e «Comparative Studies») oltre a siti internet, incontri annuali e spazi televisivi. Una potenza di fuoco notevole per una donna che ha sempre mantenuto saldi i suoi rapporti con l’establishment cinese senza però mai smettere di criticarlo, o di evidenziarne le collusioni con il malaffare e le storture.

Nata a Pechino, la passione per il giornalismo, Hu l’ha ereditata dalla famiglia. Suo nonno era Hu Zhangchi, che era stato caporedattore dello «Shen Bao», un noto quotidiano di Singapore pubblicato tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale. Sua madre, Hu Lingsheng, era caporedattrice al «Giornale dei lavoratori». In quello stesso giornale Hu fece un praticantato durante gli anni Ottanta, subito dopo la laurea in Giornalismo all’Università del popolo. E poi gli studi all’estero, la corrispondenza dall’America, finché non è arrivato il grande salto. Nel 1998 la Hu si inventa un nuovo magazine, specializzato nelle lunghe inchieste. Si chiama «Caijing» (significa Economia e finanza, in cinese), esce ogni due settimane e pur non avendo una grande diffusione finisce subito sulle scrivanie degli uomini che contano a Pechino. In una lunghissima intervista di Evan Osnos pubblicata nel 2009 dal «New Yorker», Hu racconta il giorno in cui l’editore, Wang Boming, uno dei pionieri del mercato finanziario cinese, le telefonò per dirle che la voleva alla direzione di un suo giornale. Hu gli pose due condizioni: non dovrai mai entrare negli uffici della redazione, e dovrò avere un budget di 250 mila euro per pagare i reporter investigativi. «Caijing» in quegli anni ha messo in pagina scandali e notizie che la stampa più vicina al governo di Pechino non avrebbe mai pubblicato, e non è mai stato oggetto di censura.

Nel 2008, per esempio, «Caijing» mostrò il devastante terremoto dello Sichuan, le carenze nei soccorsi e la pericolosità degli edifici costruiti con materiali non antisismici. Hu ricorda che il governo reagì male a quella pubblicazione, eppure nessuno fu mai punito. «Nel mondo dei giornalisti cinesi – o dei lavoratori delle notizie, come sono conosciuti nel Partito – Hu ha un profilo singolare», scrive Osnos. «È una sempre a caccia di notizie, nel 1989 fu sospesa per alcune sue simpatie per i dimostranti di Piazza Tienanmen, eppure ha coltivato una certa consuetudine con alcuni dei più potenti leader del Partito. Piccola e magra, con un taglio di capelli da folletto e un guardaroba di abiti coloratissimi, di solito si sente prima di essere vista. In redazione il suo arrivo è annunciato dal veloce clic-clac dei tacchi lungo il corridoio. Arriva, fornisce sentenze e idee, e poi esce di nuovo, improvvisa e impetuosa come una folata di vento». Poi nel 2009 le cose si fanno più difficili, il giornalismo «aggressivo» diventa oggetto di critiche da parte dei proprietari del giornale, e Hu Shuli se ne va insieme ad altri 60 membri dello staff. Neanche un anno dopo fonda finalmente Caixin media, dove poter essere finalmente libera.

«È sicuramente la giornalista più importante della Cina», dice Simone Pieranni, giornalista del «manifesto» e coautore del podcast sulla Cina «Risciò», «in teoria, dato che il suo successore è Wang Shuo che è stato caporedattore a lungo e ha forse tanti meriti quanti Hu nel successo di Caixin, non dovrebbe cambiare lo spirito combattivo della rivista. Non so se possa aver influito nell’avvicendamento la sua ultima battaglia, quella contro il miliardario in esilio Guo Wengui. Guo aveva accusato Hu Shuli di essere azionista occulta della società di brokeraggio che Guo tentò di scalare – cosa che poi gli venne impedita anche dagli articoli pubblicati da Hu Shuli. Lei, dal canto suo, di recente aveva chiesto alla corte di New York di “forzare” Guo a mostrare prove, se mai le abbia». In ogni caso, secondo Pieranni, la Hu è una donna che ha conquistato il potere e si è garantita il suo spazio cercando di occuparsi sempre della finanza, e mai di personaggi politici troppo esposti. «Una delle sue fissazioni era la lotta alla corruzione, per esempio, lei era la donna perfetta per la politica anticorruzione del presidente Xi Jinping». Chissà chi sostituirà, adesso, la Signora più pericolosa della Cina.