I romandi e tutti coloro che sono favorevoli ad una buona conoscenza delle lingue nazionali si sono rallegrati del voto espresso il 25 settembre scorso dal canton San Gallo sul concordato HarmoS. I cittadini sangallesi hanno respinto a larga maggioranza (70 per cento) un’iniziativa popolare cantonale che chiedeva l’uscita del cantone dal concordato, ossia dall’accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria, entrato in vigore il 1. agosto 2009.
In realtà, l’iniziativa non prendeva di mira i principi su cui si fonda il concordato, come l’età d’inizio e la durata della scuola dell’obbligo, o gli obiettivi che vanno raggiunti nelle fasi scolastiche successive, ma voleva che il cantone si dissociasse dal Lehrplan 21 e, soprattutto, dall’accordo che prevede l’insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare.
Il Lehrplan 21 è un’intesa raggiunta tra i 21 cantoni della Svizzera tedesca e plurilingui, che tende ad armonizzare i programmi e gli obiettivi della scuola dell’obbligo. Il testo è molto discusso e criticato in vari cantoni e non poche sono le iniziative che tendono a respingerlo e ad affidare ai singoli parlamenti cantonali maggiori competenze nel settore scolastico. L’accordo sulle lingue straniere risale al 2004 ed è stato adottato dalla Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE). È il modello 3/5, che prevede l’insegnamento della prima lingua straniera a partire dal terzo anno della scuola elementare e della seconda lingua straniera a partire dal quinto anno. Le due lingue in questione sono una seconda lingua nazionale e l’inglese.
L’iniziativa popolare votata nel canton San Gallo era sostenuta da un solo partito politico, l’UDC, che è uscita sconfitta anche da un’altra consultazione su un suo progetto concernente la scuola. Nel canton Zugo, i cittadini hanno respinto, con il 60 per cento dei voti, un’iniziativa che chiedeva di ricorrere esclusivamente al dialetto nella scuola dell’infanzia ed in alcune materie della scuola elementare e secondaria, come lo sport, la musica ed i lavori manuali. È stato invece approvato un controprogetto che lascia spazio al dialetto nella scuola dell’infanzia, ma che lo elimina completamente nella scuola elementare e secondaria.
L’approvazione dell’iniziativa sangallese avrebbe rilanciato la cosiddetta «guerra delle lingue» tra romandi e svizzero tedeschi. Da un lato, quei confederati di lingua tedesca che sostengono che gli allievi della scuola elementare devono assimilare un programma troppo pesante e che non sono in grado di seguire con profitto l’insegnamento di due lingue straniere. Una andrebbe soppressa e rinviata nel programma d’insegnamento della scuola secondaria.
Secondo questa tesi, che è abbastanza diffusa, converrebbe mantenere l’insegnamento dell’inglese, che è la lingua preferita e che vien ritenuta la più utile per il futuro professionale delle giovani generazioni, e rinunciare all’insegnamento del francese. Dall’altro lato, i romandi, che si sentono un po’ trascurati, un po’ offesi dal trattamento che molti confederati vorrebbero riservare alla loro lingua, che invocano la solidarietà alla base della convivenza elvetica e la necessità di conoscere le lingue nazionali per comunicare, per capirsi e per difendere il plurilinguismo caratteristico della Confederazione.
Il confronto tra le due sponde della Sarina dà spazio a svariati argomenti, che spaziano dalla pedagogia fino ai principi basilari dello stato confederale.
Il no dei cittadini sangallesi all’uscita dal concordato HarmoS può avere ora tre diverse conseguenze. Innanzi tutto, porta un po’ di serenità sul delicato fronte linguistico e si aggiunge a due altre notizie diffuse negli ultimi mesi, che vanno nella stessa direzione. Notizie che provengono da Frauenfeld e da Stans.
Il governo turgoviese, sollecitato da una mozione approvata dal Gran Consiglio nel 2014 e che chiedeva di spostare l’insegnamento del francese dalla scuola elementare a quella secondaria, non agì subito. Prese tempo, non applicò la mozione e lasciò invariato l’insegnamento del francese nella scuola elementare. Ora ha invitato il parlamento a trasformare la sua mozione in una modifica della legge scolastica, dandogli così la possibilità di riflettere e di approfondire una seconda volta la questione.
Nel Nidwaldo, il governo che voleva togliere il francese dalla scuola elementare, è stato sconfitto in votazione popolare. Dopo un po’ di tempo, ha ribaltato la sua posizione e ha deciso di aumentare il numero delle ore settimanali di francese da due a tre.
In secondo luogo, il no sangallese può ridurre le possibilità di successo dei promotori di altre analoghe iniziative pendenti in diversi cantoni. A Zurigo si voterà su un’iniziativa popolare che chiede di insegnare una sola lingua straniera nella scuola elementare. Se l’iniziativa verrà accettata, la lingua che verrà tolta sarà sicuramente il francese e non l’inglese. Sempre a Zurigo si voterà anche su un’iniziativa popolare che chiede di dare al Gran Consiglio la possibilità di pronunciarsi sui programmi scolastici. A Lucerna i cittadini voteranno su un’iniziativa popolare inoltrata lo scorso mese di febbraio e denominata «Una lingua straniera alla scuola elementare». Un’analoga iniziativa è pendente nel canton Grigioni. In questo caso e visto che si tratta di un cantone trilingue, il Tribunale federale è stato chiamato a pronunciarsi sulla costituzionalità dell’iniziativa. Berna, infine, deciderà se accettare o meno un’iniziativa popolare cantonale, inoltrata lo scorso mese di agosto, che vuol dare più poteri al Gran Consiglio in materia scolastica, indebolendo l’applicazione del Lehrplan. I risultati di queste future votazioni, in particolare quelli di Zurigo, Berna e Lucerna, non mancheranno di ripercuotersi sulle scelte degli altri cantoni della Svizzera tedesca.
Infine, il voto espresso a San Gallo allenta, almeno momentaneamente, la tensione sorta tra il consigliere federale Alain Berset, capo del Dipartimento federale dell’interno, ed alcuni governi cantonali. Berset chiede ai cantoni di armonizzare i loro sistemi scolastici come lo prevede l’articolo 62 della Costituzione federale. Fin ora, però, i tentativi di armonizzazione intrapresi dalla Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione non hanno dato alcun risultato.
Per sbloccare la situazione, il ministro dell’interno ha minacciato d’intervenire ed ha messo in consultazione la revisione della legge sulle lingue, introducendovi l’obbligo d’insegnare una lingua nazionale nella scuola elementare. La consultazione si concluderà a metà ottobre. L’iniziativa di Berset non è piaciuta ai governi di molti cantoni della Svizzera tedesca, che nella scuola vedono uno dei pochi settori di sovranità cantonale di cui ancora dispongono e che sono decisi a difendere a spada tratta.
L’iter più semplice rimane quello che porta ad un’intesa tra i governi cantonali, ma se questo obiettivo non verrà raggiunto, la Confederazione dovrà intervenire. Probabilmente, varando una nuova norma legislativa. È facile immaginare, allora, che ci ritroveremo di fronte a un referendum che non coinvolgerà soltanto le lingue nazionali, bensì anche la convivenza tra le comunità linguistiche, la loro comprensione reciproca ed i loro legami con il patto federale. Un referendum che molti temono e che pochi auspicano.