Poche righe riportate a stento dai quotidiani locali alla fine dello scorso dicembre: il Governo pakistano, su sollecitazione cinese, sta fortificando Gwadar, la città sul mare fiore all’occhiello del China-Pakistan economic corridor dove i cinesi hanno costruito un porto commerciale e che intendono lanciare come «la prossima Dubai».
A dispetto degli abitanti del luogo che si sono svegliati una bella mattina per ritrovarsi, una volta di più, ingabbiati da chilometri di filo spinato (24 a lavoro finito) inteso in teoria a proteggere le zone commerciali e industriali. Zone che, secondo il master plan per lo sviluppo di Gwadar pubblicizzato dal Governo, dovrebbero essere grosso modo tre: Gwadar port free zone, Gieda industrial zone e Epza export processing zone. Peccato che il filo spinato non sia nemmeno vicino a una di queste zone. Divide invece in due metà nette abitazioni private e condomini. Togliendo l’accesso al mare e ogni possibilità di sopravvivere a una buona fetta di popolazione locale che vive di pesca. La stessa popolazione che, sempre in nome del master plan e dello sviluppo, è stata già in larga parte privata dell’accesso all’acqua potabile. Gwadar, secondo i suoi abitanti, somiglia sempre di più a una prigione a cielo aperto.
E il vero scopo del filo spinato e dei 15mila soldati cinesi installatisi al porto, su cui sventolano le bandiere cinese e pakistana, non è quello di garantire la sicurezza delle installazioni commerciali ma soltanto quello di difendere gli interessi di Beijing e di tenere i beluci fuori. Gwadar difatti, che si trova in una regione illegalmente occupata del Pakistan, teatro di guerra da più di 70 anni e duramente colpita da povertà e mancanza di infrastrutture, è destinata a diventare un paradiso dello shopping, degli investitori esteri e dei golfisti.
I lavoratori coinvolti nel progetto sono quasi esclusivamente cinesi o pakistani importati dal Punjab. Mentre, secondo le ultime statistiche, il 71% degli abitanti del Belucistan vive sotto la soglia di povertà. La percentuale sale a 82% se si prendono in esame soltanto le zone rurali, che sono la maggioranza. Non ci sono ospedali, non ci sono scuole. Gran parte dei beluci non ha accesso all’elettricità, all’acqua potabile o al gas nonostante l’impianto di Sui rifornisca tutto il resto del Pakistan. Ma il master plan prevede, oltre a «1,2 milioni di posti di lavoro altamente retribuiti», lo sviluppo di «resort di lusso, campi da golf fronte mare e centri commerciali». Inoltre «i professionisti espatriati rappresenteranno l’80% di della popolazione di Gwadar», la quale «è destinata a diventare la prima città del Pakistan in cui non ci sono tasse né armi». «La sicurezza di espatriati e investitori è garantita da una solida rete, che include telecamere a circuito chiuso, uno stretto controllo dei veicoli in circolazione, telecamere ovunque e impianti di allarme».
«Il primo paradiso fiscale del Pakistan avrà grandi teatri, una città universitaria, negozi in riva al mare e passeggiate per il tempo libero, parchi, spiagge, hotel a 5 stelle e un porto per navi da crociera che collega Muscat, Dubai, Doha, Bahrain e Jeddah». E il China-Pak golf estates, uno dei gioielli della corona del master plan, viene sviluppato e pubblicizzato dalla Cpic: China-Pakistan investment corporation. La composizione dei membri del consiglio di amministrazione della società è molto interessante: almeno 3 militari o ex-militari pakistani, un paio di aristocratici inglesi in passato molto legati alla Cina e un ex funzionario cinese. La Cpic costruisce, inoltre, anche la International port city ed è alla ricerca di investitori. Secondo il suo sito web, il progetto è destinato «a soddisfare le esigenze degli espatriati e dei professionisti cinesi che dovrebbero lavorare lì in futuro» e «garantisce tutto il necessario per vivere, lavorare e divertirsi (...) e disporrà del primo tempio cinese costruito a Gwadar».
Si trovano personaggi interessanti anche nel consiglio di amministrazione dell’altra società che fa la parte del leone nella zona, la Am99: il suo fondatore, ancora una volta un ex militare, è anche membro della Balochistan development authority, la commissione statale che supervisiona i progetti del Cpec in Belucistan. La stessa commissione che fieramente proclama di non «possedere un singolo pezzo di terra». Non ufficialmente, forse. Ma di certo il sito web del Gwadar club & Ninety nine beach resorts costruito dalla Am99 pubblicizza accessi privilegiati alla Bda per i businessmen membri del club. La silver membership (le tariffe per la gold e la platinum non sono disponibili) costa 300’000 rupie pakistane. Il reddito pro-capite annuo degli abitanti del Belucistan è di circa 3'000.
A leggere i siti web del Cpic o della Am99 viene quasi da ridere. Secondo loro «Gwadar è anche ampiamente riconosciuta come una città sicura e protetta, quindi non ci sono preoccupazioni per il benessere dei suoi residenti. Si trovano in loco circa 9'000 soldati dell’esercito pakistano e 6000 soldati appartenenti ai corpi paramilitari». Più i 15mila militari cinesi, ovviamente. Tutto ciò conferma i peggiori timori degli abitanti del luogo. Gwadar è destinata a diventare una Disneyland recintata e armata a uso e consumo di stranieri e militari, a essere di fatto tagliata fuori dal resto della regione che continuerà a versare in uno stato di povertà assoluta.
La composizione etnica della regione sarà per sempre alterata, con pesanti ripercussioni politiche e amministrative. E mentre cinesi e militari faranno festa dentro ai club privati, il resto della città e della regione sarà sotto stretto controllo, con estremisti a piede libero importati nella regione (ad esempio i taliban e la shura di Quetta) più di quanto non siano già. I suoi abitanti continueranno a essere privati dei più elementari diritti umani e civili. Nel nome della nuova Via della seta e del regime militare che domina il Pakistan.
Gwadar, la nuova Dubai in mani cinesi
Nel bel mezzo di una regione del Pakistan dove mancano le infrastrutture e domina la miseria sorgerà un paradiso dello shopping, del divertimento e degli investitori esteri
/ 01.03.2021
di Francesca Marino
di Francesca Marino