La guerra in Ucraina è entrata nella fase decisiva. Entro fine anno avremo il cessate-il-fuoco oppure l’allargamento del conflitto. Non c’è più spazio per il relativo stallo degli ultimi mesi. Vediamo perché. In primo luogo gli americani hanno comunicato agli ucraini che, comunque vada la controffensiva, bisognerà arrivare alla tregua fra fine anno e inizio 2024. Non ci sarà una seconda possibilità militare. In secondo luogo Kiev ha sempre meno uomini da mandare al fronte e dipende totalmente sotto il profilo finanziario, militare, diplomatico-propagandistico e di intelligence da USA e alleati. Non proprio consonanti su tutto. In terzo luogo la scorribanda di Prigozhin (il capo dell’organizzazione Wagner) ha prodotto un infarto nel sistema di potere russo, che incrina l’autorità di Putin senza determinare se favorirà i fautori della «guerra vera», anche atomica, per farla finita con gli ucraini, oppure spingerà a un negoziato che lasci impregiudicato il diritto al possesso dei territori contesi ma sospenda il conflitto.
Quanto al semi-ultimatum di Washington a Kiev deriva a sua volta da tre considerazioni. Tecnica: le industrie dell’apparato militare americano non sono in grado di tenere il ritmo di produzione di armamenti – soprattutto munizioni – utile a tenere in piedi le Forze armate ucraine. Politica: si avvicina l’anno elettorale, sfida per la presidenza che Biden vorrebbe affrontare avendo sedato la guerra ucraina per non andare contropelo al sentimento dell’opinione pubblica, in crescente parte stanca di finanziare la resistenza di Kiev. Geopolitica: gli Stati Uniti non vogliono che tutto finisca con la totale distruzione dell’Ucraina ma nemmeno con la disintegrazione della Russia. Obiettivo abbastanza esplicito dei più scatenati fra i consiglieri di Zelensky oltre che di polacchi, baltici, romeni e scandinavi. Gestire una guerra civile diffusa nei 17 milioni di chilometri quadrati dello spazio russo, dove sono custodite 6 mila testate atomiche, non è prospettiva tranquillizzante.
Riguardo alla crisi nelle Forze armate ucraine, deriva anche dal carattere più politico che strategico della controffensiva. Pensata come strumento di mobilitazione del consenso interno – tutti attorno alla bandiera – compito nel quale Zelensky si è mostrato eccellente. Però questo ha comportato la violazione delle più elementari tecniche militari. I manuali insegnano che un attacco su vasta scala implica di lanciare una forza almeno tripla contro i difensori; di affermare la propria superiorità aerea e missilistica; soprattutto di cogliere il nemico di sorpresa. Tutti precetti violati dallo Stato maggiore di Kiev, non per ignoranza ma perché doveva dare la precedenza agli aspetti morali, propagandistici, politici della controffensiva. Nel frattempo i russi hanno minato il campo di battaglia, eretto quattro linee di fortificazioni, rafforzato le riserve. Sanno che l’obiettivo ucraino è tagliare i collegamenti fra Crimea e corpo della Federazione Russa. Ciò equivarrebbe a sconfitta insopportabile – e forse all’impiego dell’arma atomica russa per sovvertire il verdetto del campo.
Infine, le conseguenze della galoppata delle valchirie di Prigozin da Rostov fin quasi a Mosca. Rivolta provvisoriamente sedata, ma che ha messo in rilievo l’informalità dei poteri russi e la debolezza del centro moscovita. In particolare, il fatto che alcuni generali e diversi politici abbiano preferito il silenzio durante il 24 giugno di passione, nel quale Prigozin è passato dallo status di traditore a quello di perdonato con riserva, conferma che Putin non può tutto. A forza di disperdere le leve di comando fra strutture concorrenti, a cominciare dalle agenzie dei servizi segreti, si sono formate entità semi-indipendenti, dalle funzioni spesso sovrapposte e dalla fedeltà non canina. L’anno prossimo si vota per la presidenza. Non è detto che Putin ne esca trionfalmente, a meno che la guerra non sia vinta o almeno messa in pausa. Soprattutto non se nel frattempo si affermerà una credibile alternativa al trono.
L’unica certezza è che l’estrapolazione lineare del conflitto a tempo indeterminato è impossibile. Nei prossimi mesi tutti gli attori dovranno prendere delle decisioni strategiche. Per ucraini e russi, esistenziali. Nessuno dei due può permettersi la sconfitta, perché oltre alla guerra perderebbe la patria. Quando si è alle strette, ci si sente in pericolo di vita, non è facile articolare ragionamenti e tattiche informate al doppio principio di realtà-utilità cui dovrebbero conformarsi. Aspettiamoci qualche mossa del cavallo, soprattutto da parte ucraina, quella che oggi appare davvero a rischio esistenziale.