Le trattative segrete fra russi e ucraini, supportate da vari mediatori, tendono a incagliarsi ogni volta che si affronta il tema dei temi: la smilitarizzazione dell’Ucraina che residuerà dalla guerra. La ragione di fondo che ha spinto la Russia all’invasione è infatti impedire che il territorio ucraino diventi un avamposto militare americano a poche centinaia di chilometri dalla Piazza Rossa.
Le informazioni che giungevano da anni sul tavolo di Putin circa la situazione ucraina confermavano il crescente flusso di armamenti, addestratori e volontari stranieri, inglesi, americani e non solo, verso l’Ucraina. I generali dell’Armata russa avevano informato il presidente che la finestra di opportunità prima che il grado degli armamenti a disposizione del ricostruito esercito ucraino raggiungesse un livello tale da rendere l’Ucraina una minaccia esistenziale si stava chiudendo. L’accelerazione data dal Cremlino alle manovre militari ai confini dello Stato ucraino era quindi segno non solo di pressione psicologica e politica, ma preparazione dell’invasione che Putin e una ristrettissima élite intorno a lui trattavano ormai da necessità, non da scelta.
Ecco perché la propaganda russa insiste tanto sulla smilitarizzazione, oltre che sulla «denazificazione», della Repubblica Ucraina. Tutto il resto è controverso, certo, ma trattabile. Per quanto riguarda i territori, Putin potrebbe accontentarsi del Donbas allargato – le due repubblichette di Donetsk e Luhans’k portate fino ai confini dei rispettivi distretti amministrativi ucraini – oltre che della Crimea e di Sebastopoli, portate a casa nel 2014. Ma non è escluso che voglia trattenere anche Odessa, in modo da chiudere a Kiev l’accesso al mare. A quel punto l’Ucraina, devastata e spopolata, sarebbe uno Stato fallito, alla mercé della Russia. Esito possibile solo in seguito a una sconfitta devastante dell’esercito ucraino.
Quanto allo status di neutralità, è importante ma non sufficiente a dirimere la partita. Intanto perché ovviamente revocabile. Poi perché dovrebbe essere garantito da potenze esterne, come nel caso del Trattato di Stato austriaco del 1955. Ma quali sarebbero questi soggetti? Potrebbe decentemente la Russia promettere di rispettare la neutralità ucraina? E gli Stati Uniti, che hanno immediatamente dichiarato di non voler morire per Kiev, muoverebbero un dito se fra qualche tempo Mosca decidesse di infliggere il colpo finale all’Ucraina? E quale altra potenza potrebbe eventualmente rassicurare Kiev?
È possibile che nei prossimi giorni si arrivi comunque a un compromesso (le riflessioni sono state scritte giovedì scorso). Sarebbe però una tregua, certo non una pace stabile. Forse nemmeno di lunga durata. Occidentali e russi potrebbero mirare a destabilizzare la parte di Ucraina assegnata all’avversario con punture di spillo nemmeno troppo coperte. Attacchi cibernetici, sabotaggi, attentati, fino alla guerriglia. A questo scenario si stanno già preparando reparti di contractors e volontari accorsi a difesa di Kiev. Un Afghanistan ucraino è il loro obiettivo. Con il finale già scritto: come nel caso afghano, i russi dovrebbero un giorno, esausti, ripiegare le bandiere per riacquartierarsi nelle caserme di origine. Per gli americani, sarebbe comunque accettabile continuare nella pressione e nella guerriglia piuttosto che occupare un territorio impoverito e instabile. I russi resterebbero così impantanati nella «Piccola Russia», a smaltire definitivamente la sbornia imperiale. D’altronde già nel decennio 1945-55 la resistenza ucraina si batté valorosamente contro l’Unione Sovietica, mettendo in seria difficoltà l’Armata rossa.
Dai negoziati che contano sono di fatto esclusi i principali attori europei. Francia e Germania hanno giocato e continuano a giocare un ruolo secondario, ma quando si toccano le materie decisive sono fuori gioco. Dell’Italia, neanche a parlarne. Non vanno invece trascurati polacchi e baltici, che insieme agli inglesi premono su Washington perché non lasci scampo a Mosca. Nella crisi ucraina questi paesi storicamente russofobi leggono l’occasione unica e forse non ripetibile di azzerare la potenza russa, quindi lo Stato russo. Ma è proprio la decomposizione della Russia, con le sue migliaia di testate atomiche, che gli Stati Uniti preferirebbero evitare, ultra-falchi a parte. Perché gestire un buco nero di proporzioni così colossali sarebbe quasi impossibile. E perché la Cina non perderebbe l’occasione per impadronirsi della Siberia e di trasferirvi milioni di propri cittadini, in un’operazione di sapore neocoloniale. A quel punto la sconfitta della Russia non sarebbe una vittoria dell’America, ma del suo nemico numero uno. Paradossi della geopolitica.