Ha definito «una pazzia» la scelta dei Paesi Nato di aumentare al 2% del Pil la spesa per gli armamenti. Per poi alzare ulteriormente l’asticella, aggiungendo che non solo questo conflitto nel cuore dell’Europa, ma l’idea stessa della guerra dovrebbe essere cancellata dall’agenda del mondo, «prima che sia lei a cancellare l’umanità». In questo mese segnato dalla drammatica scia di sangue e distruzione innescata dall’invasione russa dell’Ucraina, papa Francesco non ha risparmiato gli appelli. Lontano per storia personale dal profilo di «cappellano dell’Occidente» che qualcuno vorrebbe per il papato, sta investendo tutto il suo prestigio morale nel tentativo di fermare l’estendersi a macchia d’olio di quella che lui per primo – con un’intuizione geopolitica interessante – già anni fa aveva definito la «terza guerra mondiale a pezzi». Al punto da essere in questo momento l’unica icona ancora minimamente spendibile per il mondo pacifista, in un conflitto che ha minato molte certezze.
Ancora una volta – però – Bergoglio si trova ad affrontare questa nuova sfida da una posizione di estrema debolezza. Perché mai quanto in questa guerra le religioni – e, in particolare, le divisioni stesse tra le Chiese – hanno un peso importante in quanto sta succedendo. Dopo gli anni del cosiddetto «scontro di civiltà» si è tornati a combattere una guerra piena di croci ostentate in entrambi i campi di battaglia. Terreno quanto mai lontano da quella fraternità al di là di ogni barriera che papa Francesco non si stanca di descrivere come il cuore di ogni messaggio religioso.
La guerra in Ucraina è una profonda sconfitta anche personale per Francesco, il pontefice che nel 2016 era riuscito a raggiungere a Cuba un risultato storico impossibile per i suoi predecessori: l’incontro con Kirill, il patriarca di Mosca, la terza Roma, la Chiesa rimasta più lontana dal Vaticano, soprattutto negli anni del pontefice polacco. Proprio in questi mesi era in preparazione un secondo faccia a faccia: lo si era ipotizzato per il mese di giugno. Alla fine Francesco e Kirill si sono già parlati in videoconferenza, ma nel mezzo di una guerra che il patriarca di Mosca aveva appena benedetto con parole imbarazzanti infarcite di identitarismo e invettive contro l’Occidente, con il corollario degli attacchi ai movimenti per i diritti Lgbt.
In Ucraina, del resto, il conflitto tra le Chiese ha ampiamente preceduto quello sanguinoso sul campo: sull’onda della «rivoluzione di piazza Maidan» uno degli effetti più vistosi a Kiev era stato il riaffiorare dell’istanza dell’autocefalia, cioè la richiesta di indipendenza dal patriarcato di Mosca degli ortodossi locali. Un tema che aveva fatto naufragare nel 2016 il Concilio panortodosso di Creta, che Bartolomeo – il patriarca di Costantinopoli – avrebbe voluto come storico momento di incontro tra tutte le Chiese ortodosse. La spaccatura con Mosca era stata poi sancita nel 2018, quando lo stesso Bartolomeo aveva consegnato al metropolita di Kiev Epifanyj il «Tomos», il documento con cui Costantinopoli riconosceva il distacco definitivo dell’Ucraina dal «territorio canonico» della Russia. In sostanza una dichiarazione di guerra a Kirill.
Non tutti gli ortodossi in Ucraina avevano però accettato l’autocefalia. Una parte maggioritaria delle Chiese e dei monasteri era rimasta comunque sotto la giurisdizione dell’altro metropolita Onufryj, che a livello ecclesiale si era rifiutato di seguire la strada indipendentista per rimanere invece fedele al patriarcato di Mosca. E molte delle altre Chiese ortodosse nel mondo avevano accuratamente evitato di prendere posizione tra Epifanyj e Onufryj per evitare di inimicarsi i russi o Costantinopoli.
L’invasione del 24 febbraio ha cambiato completamente le carte in tavola anche a livello ecclesiale. Di fronte alle omelie di Kirill a sostegno dei carri armati, anche il metropolita Onufryj ha preso apertamente le distanze da Mosca. Molti monasteri ucraini, che fino a ieri si sentivano in tutto e per tutto parte della Chiesa russa, oggi non riconoscono più Kirill. E lo stesso sta avvenendo anche in tante altre comunità di ortodossi russi fuori dai confini nazionali, come ad esempio in Estonia. Dal punto di vista religioso, dunque, Mosca – che è di gran lunga la più popolosa tra le chiese ortodosse – rischia di rimanere senza la parte occidentale di quelli che considera i suoi «territori canonici». Una parte che, tra l’altro, è la più devota tra gli ortodossi di tradizione russa. Se infatti le statistiche ufficiali riferite alla Federazione russa parlano di 80 milioni di ortodossi, in realtà a frequentare realmente chiese e monasteri non sono più di 5 milioni di fedeli. Al contrario, più della metà dei 15 milioni di ucraini ortodossi russi fino a ieri legati al patriarcato di Mosca vanno in chiesa regolarmente; a cui poi vanno aggiunte le alte percentuali dei 6 milioni di ortodossi autocefali (appartenenti cioè alla chiesa di Epifanyj) e dei 3 milioni di greco-cattolici, anch’essi di tradizione ortodossa ma uniti con Roma.
In questo contesto Francesco lancia appelli con parole ogni giorno più forti contro la guerra. Ma vive tutta l’impotenza di chi non riesce a promuovere un’iniziativa comune di pace neppure tra quei leader cristiani locali che in teoria dovrebbero essere i suoi primi interlocutori. Tocca con mano i danni prodotti da quello schiacciamento della religione sugli interessi politici nazionali che lui ha sempre denunciato. Però anche il suo invito incondizionato al dialogo svicola dal problema di fondo: come opporsi da cristiani a un regime totalitario che attraverso la violenza e una dura repressione sta perseguendo i suoi obiettivi?
Ed è un tema che non riguarda solo la Russia. Sullo sfondo per il Vaticano c’è anche la questione della Cina, con la quale Francesco ha fortemente voluto lo storico accordo sulla nomina dei vescovi, che di fatto prova a riunificare la Chiesa cattolica in Cina. Ma il prezzo pagato è il silenzio sulla durissima repressione a Hong Kong, dove in carcere in questi ultimi due anni in nome della legge sulla sicurezza nazionale sono finiti anche diversi leader cattolici. Il papa che ha capito la «guerra mondiale a pezzi» oggi non può andare oltre gli appelli. In Ucraina prima o poi il cessate il fuoco arriverà, ma il mondo che lascerà in eredità non sarà decisamente quello sognato da Francesco.