È trascorso quasi un decennio da quando le prime avvisaglie di crisi economico-finanziaria si sono manifestate nella penisola ellenica, ingenerando la prima «vera» crisi sistemica, cioè talmente drammatica da mettere in dubbio la tenuta stessa della moneta unica europea fisicamente introdotta il 1 gennaio 2002, ma in modo scritturale già nel 1999. È arduo ripercorrere i momenti più drammatici di tali anni, che hanno «scoperchiato» la debolezza strutturale dell’accordo monetario europeo portando ad un effetto contagio fra Paesi quali Cipro, Irlanda, Italia, Malta, Portogallo e Spagna. Se le origini della crisi del debito greco sono – almeno in parte – ascrivibili ad una gestione finanziaria pubblica poco efficiente, è altrettanto vero che la moneta unica ha acuito la situazione, privando Nazioni (già industrialmente meno competitive rispetto ad altre europee) della possibilità di operare le cosiddette «svalutazioni competitive» per agevolare l’export. L’unione monetaria, dunque, quale territorio disomogeneo in un’ottica di «aree valutarie ottimali» come formulata dal Premio Nobel Robert Mundell nel 1961.
Ma come sta la Grecia oggi? Nonostante la flebile crescita, è elevato il debito pubblico. All’inizio il problema greco era più contenuto: tuttavia, i ridotti margini di azione economico-politica derivano perlopiù dalle competenze monetarie demandate alla BCE. L’elevato debito comporta in uno spazio integrato quale quello europeo – diverso dall’arcipelago nipponico, che può permettersi grazie alla Banca del Giappone rapporti fra debito pubblico e PIL pari al 234% nel 20172 – un contenimento della capacità di formulare politiche economiche di rilancio.
Ecco, quindi, che negli anni passati si è posto spesso il quesito se per la Grecia non sarebbe (stato) meglio uscire dall’area Euro. Molto probabilmente, no. Un abbandono della moneta unica avrebbe comportato un default dell’apparato pubblico oltre che un «effetto segnale» per i mercati internazionali in quanto a revocabilità dell’Euro. La reintrodotta dracma greca si sarebbe talmente deprezzata da rendere l’economia locale competitiva per turisti e settore dell’export, ma ciò avrebbe anche ridotto i risparmi greci. Quest’ultima avrebbe dovuto, infatti, abbandonare l’idea di continuare (almeno finché le «acque non si fossero calmate») ad avere accesso a tutti quei beni e servizi esteri in quanto ormai «per pochi» a fronte dell’apprezzamento dell’Euro. Disporre di una moneta deprezzata (fatto tipico dei Paesi a minor reputazione economica oltre che dagli standard di vita non sempre comparabili con Paesi avanzati) è fattore di nocumento per il benessere nazionale. Rimane che la gestione della crisi sia stata scomposta e delegata (al di là delle «comparsate» della troika composta da Commissione europea, BCE e del FMI) alla linea di Governi nazionali come quello tedesco, con inasprimento delle relazioni internazionali fra Paesi membri europei. Del resto, però, la Grecia ha vissuto fasi di stretta creditizia tale da mettere in dubbio l’accredito di salari e pensioni – in altre parole, interventi urgenti si rendevano necessari. Per evitare salvataggi diretti da parte della BCE – la no-bailout clause esclude la ripartizione dei debiti di una Nazione fra le altre – le politiche promosse sono risultate oltretutto procicliche, cioè hanno, con l’austerità economica, gettato «benzina sul fuoco».
Come si sarebbero dovuti comportare i policymaker? Probabilmemte, in uno spazio monetario eterogeneo al suo interno, la BCE avrà da fungere da «pompiere» più spesso di quanto i Trattati glielo abbiano riservato. Senza riforme strutturali del tipo economico-politico nei singoli Paesi membri, ciò comporta rischi di «azzardo morale», cioè che altre Nazioni reclamino trattamenti simili. Se la «cura» prevedesse la mera immissione di liquidità come già avvenuto, rialzi dei prezzi e/o bolle finanziarie (a livelli di crescita stagnanti) sarebbero più che probabili. La risposta non può essere più esauriente poiché, difficilmente, l’Euro verrà nel medio periodo abbandonato. Dunque, la vera soluzione risiede nel ridurre sprechi, inefficienze e carenze così da disporre di quei margini economici per investimenti in capitale fisso. Insomma, si devono sfruttare i «privilegi» della moneta unica, fra cui la possibilità (non indifferente rispetto al passato) di pagare acquisti (importazioni) internazionali in un’unità di conto globalmente accettata. La permanenza nell’Area Euro potrà essere per la Grecia una grande opportunità, ma si dovrà saperla sfruttare sia da parte ellenica riducendo le problematiche tipiche di molti Paesi mediterranei sia da quella europea, che dovrebbe favorirne la ripresa per non nutrire il malcontento verso una gestione comunitaria tecnocratica o scarsamente vicina ai popoli.
Note
1. Elaborazione propria da http://ec.europa.eu/eurostat/data/database.
2. https://data.oecd.org/gga/general-government-debt.htm