Governo Meloni in tilt

I principali grattacapi della presidente del Consiglio provengono dal suo cerchio interno e dalla sua maggioranza
/ 24.07.2023
di Alfio Caruso

La «Guerra dei trent’anni» italiana è incominciata nell’autunno 1994 allorché Berlusconi, neo presidente del Consiglio, fu raggiunto a Napoli da un avviso di garanzia che, a onta del nome, garantisce soltanto lo screditamento di chi in teoria dovrebbe essere garantito. Al tempo, Berlusconi veniva indagato per concorso in corruzione nell’inchiesta denominata «Mani pulite». Era stata avviata dalla procura di Milano e in pratica decapitò la classe politica in sella da mezzo secolo. Fu una congiura? Nella sostanza, no. Tuttavia, per Berlusconi e il Centrodestra raggruppato attorno lui, era il tentativo dei magistrati «sinistrorsi» di sovvertire per via giudiziaria il responso delle urne. La soap opera si è ripetuta nel 2001 e nel 2008, in occasione degli altri due successi di Berlusconi con l’acme toccato nel 2011 quando il Cavaliere sostenne di esser stato costretto alle dimissioni da un complotto internazionale, di cui avrebbero fatto parte la Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario, alcune Cancellerie europee.

Lo scorso settembre la straripante vittoria di Giorgia Meloni e del cartello di Centrodestra avrebbe dovuto rappresentare la chiusura di quella lunga stagione di sospetti e di polemiche. Persino l’annunciata riforma della giustizia, invocata da ampi settori, presente nel programma elettorale di Fratelli d’Italia e legittimata dalla valanga di voti ricevuti, sembrava poter essere accolta financo dalle correnti progressiste, malgrado le impennate del ministro competente, Nordio. Per di più, la scomparsa di Berlusconi avrebbe dovuto segnare la fine del rancore, normalizzare i rapporti, chiudere un’epoca fin troppo lunga, in cui berlusconismo e giustizialismo si sono alimentati e motivati a vicenda.

Viceversa, sono bastate tre iniziative giudiziarie (Santanchè, Delmastro, La Russa), benché slegate fra di esse, per mandare anche questo Governo in tilt; per indurre Meloni a salire sulle barricate contro l’ennesimo complotto delle toghe «sinistrorse» in vista delle elezioni europee; per solleticare gl’immancabili cani sciolti delle procure a sfruculiare altri rappresentanti del Centrodestra. Una psicosi inspiegabile o addirittura un virus che nessuno riesce a debellare e che contagia regolarmente il Centrodestra. Ed è già costato a Fratelli d’Italia, fin qui in ascesa, due punti nei sondaggi.

Eppure, l’inchiesta contro la ministra del Turismo Santanchè per i suoi comportamenti, alquanto discussi, da imprenditrice andava avanti da mesi e la stessa interessata lo sapeva, malgrado sostenga il contrario. E adesso che incombe il rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio, si ricordano le innumerevoli polemiche che l’hanno vista protagonista nell’ultimo decennio e che forse avrebbero dovuto consigliare maggiore prudenza prima di affidarle una poltrona ministeriale. Il sottosegretario Delmastro ha fatto qualche confidenza di troppo al suo coinquilino Donzelli, uno dei cervelli di Fratelli d’Italia, sulle visite in cella dei parlamentari democratici a un condannato al 41 bis, cioè il carcere duro. Tutto nelle regole, Donzelli ha però utilizzato queste visite per scatenarsi in una veemente reprimenda contro l’opposizione. Un normale gioco delle parti, tant’è vero che la procura romana aveva chiesto l’archiviazione per Delmastro, mentre il giudice delle indagini preliminari ne ha stabilito il rinvio a giudizio coatto. Somiglia più a uno scontro fra poteri giudiziari, che una macchinazione ai danni del Governo.

Il terzo caso è quello più delicato, nonostante all’apparenza sembri un caso privato: Leonardo La Russa, diciannovenne terzogenito del presidente del Senato, Ignazio, è accusato di violenza sessuale. Siamo soltanto all’avvio di una vicenda che si annuncia complessa, aspra, divisoria e che coinvolge alcune blasonate famiglie della Milano ricca. Per quanto Meloni sia abituata a dover gestire gli scivoloni dei propri collaboratori, stavolta l’episodio è foriero di rischi, altro che l’irrilevante opposizione di Schlein e Conte. Perché coinvolge il politico con cui ha fondato Fratelli d’Italia, quello che l’ha supportata negli anni difficili dell’inizio con il partito al 3% e che lei ha premiato con la seconda carica dello Stato. Perché il suo prolungato silenzio sulle dichiarazioni fuori luogo dello stesso La Russa, costretto poi a rettificare, può irritare le tante donne che l’hanno votata, nonostante Meloni abbia poi detto che al posto del presidente del Senato avrebbe taciuto. Perché aver ribadito la propria solidarietà a una ragazza che denuncia, significa mettere sulla graticola La Russa nell’evenienza di un probabile rinvio a giudizio del figlio con l’aggravante che gli è stato rinfacciato di aver troppo protetto Santanchè.

Si è così avuta la conferma che i principali problemi di Meloni non provengano dagli avversari politici, bensì dal suo cerchio interno e dalla sua maggioranza. Tranne rare eccezioni, le scelte di Meloni hanno premiato la fedeltà più che la competenza. E ogni passo falso è stato sottolineato da Salvini, costretto a ruoli di secondo piano dal deludente esito elettorale della Lega e ansioso di una rivincita avente come traguardo le europee della prossima primavera. Meloni, purtroppo per lei, ha potuto selezionare i rivali – chi non vorrebbe vedersela con Schlein e Conte? – ma non gli alleati.