Gli ultraortodossi e la sfida della modernizzazione

Mentre in Israele continuano le proteste antigovernative prosegue il nostro viaggio tra i volti dell’ebraismo più tradizionale
/ 20.03.2023
di Sarah Parenzo

Nonostante siano trascorse quasi dodici settimane dall’inizio delle proteste, e benché le manifestazioni contro il Governo abbiano raggiunto proporzioni straordinarie per affluenza e tenacia, Netanyahu non sembra disposto a compromessi. La scorsa settimana, fedele alla propria linea, ha respinto anche lo schema di compromesso suggerito dal presidente Isaac Herzog nel tentativo di appianare la preoccupante faida tra coalizione al potere e opposizione. La storia dimostra che la distruzione delle istituzioni democratiche porta inevitabilmente alla persecuzione, al silenzio, alla censura e alla repressione che mirano a produrre una società obbediente e timorosa. Per questo, durante la notte tra mercoledì e giovedì, decine di artisti hanno dipinto di rosso la strada che conduce alla Corte Suprema di Gerusalemme, sottolineando così il legame inscindibile tra un sistema giudiziario indipendente e la libertà di espressione artistica e culturale.

È ormai evidente, del resto, che lo stato d’emergenza che Israele si trova ad affrontare esula ampiamente dai confini della riforma giudiziaria contro la quale manifestano con caparbietà ogni sabato sera centinaia di migliaia di cittadini. Le dimensioni della crisi sono attestati, tra le altre cose, dalla gravità degli avvenimenti che hanno avuto luogo la notte del 26 febbraio scorso, quando un gruppo di coloni ebrei ha compiuto un vero e proprio attacco contro il villaggio palestinese di Hawara. Decine di macchine, attività commerciali e abitazioni private sono state incendiate, alcune di queste con le persone ancora all’interno. Un centinaio di feriti, un morto e animali mutilati sono il bilancio di una vendetta compiuta mente l’esercito stava a guardare senza intervenire.

La violenza coloniale fa parte di una politica istituzionalizzata che serve un’agenda più ampia di pulizia etnica, ma tale logica di eliminazione istituzionalizzata continua tristemente ad essere ignorata anche da chi, in Israele e all’estero, ha espresso severe parole di condanna per il massacro. Le principali scusanti addotte sono generalmente quella della tanto attesa, quanto impraticabile, soluzione dei due Stati, e la necessità di garantire la sicurezza rispetto agli attentati a carico dei civili. Come se questi ultimi, in crescente aumento negli ultimi mesi, non fossero strettamente connessi all’occupazione medesima. Dipingere l’attacco in Cisgiordania come l’atto di un gruppo isolato di estremisti fanatici significa voler ignorare consapevolmente le dinamiche del gioco. La definizione di stato ebraico democratico è posta oggi più che mai davanti a una sfida: non vi è democrazia senza porre fine all’occupazione, così come non ci deve essere un ebraismo che prescinda dalla garanzia di libertà e pienezza di diritti a tutti i residenti all’interno dei suoi confini. La legittimazione degli ebrei come popolo, e non solo come fedeli di uno stesso credo religioso, passa oggi attraverso l’urgenza di stabilire i parametri di un’etica nuova che meglio si adatta alla sovranità territoriale. Ma di questo parleremo ancora.

In questo contesto – per cercare di comprendere meglio il complesso mosaico che compone la società israeliana – torniamo a parlare delle comunità ebraiche ultraortodosse che, come abbiamo detto (edizioni del 13.2.2023 e del 27 febbraio 2023), costituiscono circa il 13% della popolazione del Paese. La prima forma di distinzione che salta agli occhi è quella dell’abbigliamento che spesso consente anche di risalire alla cerchia di appartenenza, o quanto meno di distinguere tra i due grandi gruppi principali: lituani e chassidici. I primi prendono il nome dalle scuole rabbiniche di Litta di cui mantengono la tradizione. Generalmente indossano un abito scuro con la camicia bianca e sopra la kippà portano un cappello in stile Borsalino. La corrente lituana è sorta all’inizio del XIX secolo sostanzialmente in opposizione al chassidismo, intorno al Gaon di Vilna e al rabbino Chaim di Volozhin, e successivamente ha dato vita anche al famoso movimento del mussàr, l’etica ebraica promossa dal rabbino Israel Salanter. Per i lituani lo studio devoto della Torà è considerato prioritario anche in condizioni di povertà. In seguito alla morte del Rabbino Chaim Kanievsky nel 2022, il loro leader principale è il rabbino Gershon Edelstein, direttore della grande scuola talmudica di Ponevezh, a Bnei Brak, e leader spirituale del partito Deghel Hatorà.

Il chassidismo invece è sorto intorno alla metà del 1700 tra l’Ucraina e l’Europa dell’Est, come movimento di carattere sociale e spirituale sviluppatosi intorno alla figura del Ba’al Shem Tov e dei suoi discepoli che proponevano una nuova filosofia di vita. Il loro approccio unisce ai motivi cabalistici il concetto della costante presenza di Dio in tutto il creato che sarebbe permeato dal divino anche dove la spiritualità è apparentemente celata. Da qui il dovere di ogni ebreo di coltivare la dvekùt, l’attaccamento, che consente di elevare spiritualmente anche gli atti quotidiani più materiali e banali.

Nei secoli il chassidismo si è ramificato intorno a molteplici corti di diverse dimensioni, comunità molto chiuse e unite, ognuna facente capo ad una guida spirituale, il cosiddetto Rebbe, o admòr, generalmente eletto per discendenza familiare e all’autorità del quale i seguaci sono strettamente dipendenti. Molti di loro, nella vita privata e in famiglia, al posto dell’ebraico moderno parlano ancora in yiddish, mantenendo viva la più importante lingua della cultura ebraica, dopo l’aramaico. Gli uomini chassidici sono più attivi nel mercato del lavoro rispetto alla media degli ultraortodossi e si distinguono per le peòt, i cernecchi, riccioli sfatti, che usano tenere lunghi rispetto a quelli appena accennati dei lituani. Anche le loro giacche sono più lunghe di quelle di un normale abito da uomo, e talvolta indossano pantaloni particolari, che infilano dentro i calzini, e altri segni distintivi come lo shtreìmel, il tradizionale cappello di pelliccia per il sabato e le solennità. Tra le corti più importanti si annoverano quelle di Gur, Satmar, Belz, Vishnitz e Sanz. I Chabad-Lubavitch il cui famoso leader, rav Menachem Mendel Schneerson è deceduto nel 1994, sono più visibili all’esterno, grazie all’opera dei loro emissari che girano il mondo per promuovere il ritorno degli ebrei all’osservanza. I Breslav, invece, sono popolari tra le persone che fanno ritorno all’osservanza e i loro testi di riferimento, che raccolgono gli insegnamenti e i racconti del Rabbino Nachman (1772-1811), godono di sempre maggiore attenzione anche presso i laici grazie all’indubbio spessore e a contenuti filosofici e psicologici di attualità.

All’inizio degli anni ’80 gli ultraortodossi sefarditi e orientali, provenienti dai Paesi islamici o residenti a Gerusalemme da generazioni, hanno cominciato a ribellarsi alle discriminazioni subite dagli ashkenaziti, che rifiutavano di accoglierli nelle istituzioni scolastiche. Su tali premesse socio-politiche è nato il movimento e partito politico Shas, patrocinato dal grande rabbino di origini irachene Ovadia Yossef (1920-2013), figura di grande carisma e per anni rabbino capo sefardita di Israele. Benché tendano a non celebrare festività e commemorazioni nazionali laiche, mai come oggi gli ultraortodossi sono alleati del sionismo, non fosse altro per motivi di convenienza politica ed economica. Tuttavia permangono tra loro alcune correnti integraliste come la Edà Charedìt e i Neturei Karta che si contraddistinguono per un’opposizione netta allo Stato, che mettono in atto non partecipando alle elezioni e cercando di non ricevere contributi, convinti che non possa sorgere uno Stato ebraico prima della venuta del messia.

Nel complesso, tuttavia, nonostante gli stereotipi che insistono nel confinarla in ghetti anacronistici, la società ultraortodossa sta attraversando un continuo processo di modernizzazione riscontrabile dalla presenza dei suoi membri, non solo nei contesti di studio e lavoro, ma anche nei centri commerciali, negozi, ristoranti, parchi giochi e siti di divertimento. Le donne investono sempre di più nella moda, nei trattamenti di bellezza e nell’arredamento, e i loro mezzi di comunicazione e reti social stanno finendo per adeguarsi, nel bene e nel male, ai nuovi trend. Le previsioni demografiche stimano che tra soli quarant’anni un ebreo israeliano su tre sarà ultraortodosso!