Nelle ultime settimane, grazie a due importanti eventi, l’Africa è tornata al centro degli interessi e delle preoccupazioni dell’Unione europea. Trattasi del ritiro dal Mali delle forze francesi e delle forze di altri paesi europei, nonché del vertice Ue-Ua (Unione africana) tra i principali governi dei due continenti, svoltosi a Bruxelles il 17 e 18 febbraio. La presenza militare francese nel Mali si è inserita nel contesto della lotta contro il terrorismo e risale al 2013, quando i fondamentalisti islamici minacciarono di avanzare verso la capitale Bamako e di conquistare tutto il paese. Su richiesta del governo del Mali, la Francia inviò 6 mila militari per frenare l’avanzata dei jihadisti. Si parlò allora dell’Opération Serval, che un anno dopo divenne l’Opération Barkhane. A sostegno della presenza francese si aggiunsero poi altre forze: i caschi blu delle Nazioni Unite, con la missione Minusma, i soldati rappresentanti 5 Stati del Sahel, G-5-Sahel, Mali, Burkina Faso, Niger, Mauritania e Ciad, e infine la Task force Takuba, con militari inviati da una decina di paesi europei.
Dopo nove anni di combattimenti vari, tutte queste forze sono riuscite a contenere i jihadisti, ma non a sconfiggerli e la Francia, da sola, ha dovuto registrare nel Mali 53 militari uccisi. Alla complicata situazione militare si è poi aggiunta una crisi nei rapporti tra il governo maltese e quello francese. A Bamak o ci sono stati due colpi di stato militari, il primo nel 2020 e il secondo nel 2021. I militari che oggi sono al potere non hanno accettato di ripristinare le istituzioni democratiche, hanno alimentato l’ostilità della popolazione contro le forze estere presenti nel paese e si sono lanciati in una guerra verbale con il governo francese, sfociata nell’espulsione dell’ambasciatore di Parigi. Il presidente Macron ha reagito e lo scorso 17 febbraio ha annunciato il ritiro dal Mali di tutte le forze militari. Vi sono ancora circa 2500 soldati francesi che rientreranno entro sei mesi.
La nuova situazione presenta due grossi inconvenienti per la Francia e per gli altri paesi europei impegnati nella lotta contro il terrorismo. Il primo riguarda l’estensione del territorio occupato dai terroristi. I jihadisti avranno più libertà di manovra e potranno conquistare nuove posizioni, sfruttando la miseria della popolazione indigena e l’incapacità dell’esercito maliano di controllare il paese. Molti temono che potrebbero avanzare verso sud e installarsi nei paesi sul Golfo di Guinea, come il Benin o la Costa d’avorio. Il secondo inconveniente tocca la perdita d’influenza e di controllo dell’Ue sul Mali, un paese ricco di materie prime e soprattutto un importante asse di transito dei flussi migratori. I militari al potere a Bamako hanno subito cercato di sopperire alla partenza dei militari europei, facendo arrivare un migliaio di mercenari del gruppo Wagner, una milizia militare controllata dal Cremlino. Mosca può così estendere la sua influenza nell’Africa occidentale.
Il summit tra l’Ue e l’Unione africana, svoltosi a Bruxelles, è sfociato nel rafforzamento di un partenariato già esistente e rinnovato ogni cinque anni. L’ultimo vertice si era svolto ad Abidjan nel 2017. Questa volta erano presenti ben 80 delegazioni nazionali. Mancavano soltanto quattro paesi del continente nero, Mali, Burkina Faso, Guinea e Sudan, perché hanno governi dittatoriali e quindi sono stati sospesi dall’Unione africana. È stato definito un pacchetto di aiuti di 150 miliardi di euro da parte dell’Ue, per i prossimi cinque anni, destinato a finanziare investimenti nelle infrastrutture, nella sanità, nella transizione energetica, nell’economia e nell’agricoltura. L’Ue ha pure promesso di fornire entro l’estate altri 300 milioni di dosi di vaccino. L’Unione europea vuole garantirsi una presenza politica ed economica su di un continente ricco di materie prime, in piena espansione demografica e suscettibile di generare sempre più emigrati. Il suo tentativo, però, viene ostacolato da una forte concorrenza cinese. La Cina è molto presente. Si è imposta nella costruzione di infrastrutture e, in pochi anni, è diventata il più importante partner commerciale dei governi africani. Ben 46 paesi africani hanno sottoscritto accordi commerciali con la potenza asiatica e più di 10 mila aziende cinesi sono presenti in Africa. Negli ultimi dieci anni le esportazioni cinesi verso il continente africano hanno registrato un’impressionante progressione. La posta geopolitica ed economica in Africa è ormai diventata una realtà con la quale l’Ue deve fare i conti.
La crisi sorta ai confini con l’Ucraina, precipitata in una guerra, l’integrità territoriale di un paese attaccato da un imperialismo russo difficile da comprendere e da accettare, l’assetto della sicurezza in Europa e, per quanto concerne la Francia, anche l’elezione presidenziale prevista in aprile, sono questioni che hanno un’urgenza prioritaria e che fanno slittare in secondo piano i rapporti dell’Europa con il continente africano. All’interno di questi rapporti vi sono però elementi geopolitici, strategici, che non si possono trascurare perché un giorno potrebbero diventare di grande attualità e costringere così i dirigenti occidentali a prendere importanti e delicate decisioni.