Gli esteri, un problema per Madrid

Spagna – Nei confronti dell’America latina e del Venezuela in particolare il governo di Pedro Sanchez dovrà mettere insieme visioni del mondo molto diverse e soprattutto un arco di alleanze totalmente opposte
/ 06.05.2019
di Angela Nocioni

Incompatibilità nella visione degli affari esteri della Spagna. Questa è la grande difficoltà nel lungo periodo della maggioranza più probabile del prossimo governo spagnolo: socialisti e Unidos Podemos insieme agli indipendentisti, cioè una maggioranza guidata dai socialisti e vincolata alle richieste degli indipendentisti.

Se Pedro Sanchez, premier socialista uscente e unico reincaricabile, scommetterà, dopo aver atteso l’esito delle prossime europee, su di un’alleanza con Pablo Iglesias di Unidos Podemos, potrà con agio trovare mediazioni sulle questioni interne e sui rapporti da tenere insieme a Podemos con gli indipendentisti, ma non potrà nascondere le difficoltà nella gestione degli affari esteri, dove le posizioni e le alleanze internazionali dei due partiti, Psoe e Podemos, sono diametralmente opposte da sempre.

Il Psoe ha un antico tessuto di relazioni estere con forze di origine liberal progressista. Podemos, al contrario, ha ereditato rapporti con forze populiste o di sinistra radicale classica, anche veterostaliniste. Due posizioni incoinciliabili e due schemi di alleanze incompatibili. Questo è molto evidente in America latina, dove la Spagna come ex potenza coloniale coltiva intense relazioni economiche e politiche.

Inevitabilmente, per esaminare solo l’eventualità più incombente, un avvitarsi tragico della crisi venezuelana, per esempio, metterebbe in grave difficoltà una maggioranza spagnola fatta da Psoe e Unidos Podemos perché Sanchez ha relazioni strette con l’operazione internazionale che ha portato all’autoproclamazione di Guaidò alla presidenza ad interim e ha subito riconosciuto l’oppositore come legittimo presidente ad interim, anche se ha sconfessato in anticipo colpi di mano militari. Podemos, al contrario, ha stretti legami con i chavisti e non ne vuol sapere di Guaidò.

Poiché la Spagna è la deputata naturale a guidare ogni processo di mediazione politica in quell’area – lo ha fatto con successo con Cuba insieme al Vaticano – e poiché un suo sottrarsi aprirebbe ancor più spazio agli Stati Uniti, che già nella vicenda venezuelana di spazio ne hanno preso parecchio, problema non da poco sarebbe per un futuro governo spagnolo fatto da Sanchez più Iglesias doversela vedere con il dossier del Venezuela in fiamme. Che fare? Difficile mettere d’accordo il Psoe con le esigenze di riconoscenza che Podemos deve a Caracas.

S’è già visto in passato, quando Maduro tentò il colpo di mano ed esautorò il Parlamento via Tribunale supremo. Succede che il Tribunale supremo di giustizia, in mano al governo, esautora il Parlamento, dove l’opposizione è in maggioranza. Avoca a sé le facoltà legislative. Regala al presidente Maduro i superpoteri che lui cerca invano da anni.

E Podemos in Spagna cosa fa? Si precipita a difendere il colpo di Stato, a spiegare al mondo che non si tratta di un golpe. Pablo Bustinduy dice che bisogna «capire la complessità della questione», che «si tratta di un conflitto tra il legislativo e l’esecutivo». Bustinduy è il responsabile esteri del partito. Ha pure brigato parecchio per diventarlo. E infatti i compagni gli sono andati subito tutti dietro con dichiarazioni spericolate.

Le ragioni sono supponibili. La rivoluzione chavista è stata molto generosa con Podemos in passato. L’ha tenuto a balia per anni.

Le relazioni sono incontestabili, anche se Iglesias e compagni di solito sminuiscono e tergiversano in proposito sempre.

Anni fa, per esempio, grande eco ebbe in Venezuela la notizia dell’incontro a Ginevra tra Juan Carlos Monedero, allora numero tre di Podemos, e due funzionari chavisti, a ridosso di una conferenza sui diritti umani nella sede delle Nazioni Unite. Qualche giorno dopo Podemos si rifiutò di appoggiare una risoluzione del Parlamento europeo di condanna alla detenzione di alcuni leader dell’opposizione venezuelana. Podemos non trova nulla da eccepire se in Venezuela i principali esponenti dell’opposizione finiscono in carcere con le accuse più varie e ci rimangono per anni. In quell’occasione contestò la definizione di «arresto arbitrario». Anche allora raccomandò di «comprendere la complessità della situazione», nonostante i leader dell’opposizione sbattuti in galera (non furono i primi, né gli ultimi) erano stati arrestati con ogni evidenza a causa dello svolgimento della loro attività politica.

Come tramite fondamentale degli scambi tra regime chavista e l’ambiente politico da cui venne fuori Podemos è sempre stata indicata una fondazione culturale spagnola dalla storia curiosa, il Centro di studi politici e sociali, il Ceps. Il luogo di costituzione è Valencia, la creano Roberto Viciano, un professore di Valencia con stretti legami con il regime, il suo amico Roberto Martinez e altri del giro chavista spagnolo. Secondo quanto risulta al giornale venezuelano «El Nacional» sarà il Ceps a fare da tramite tra il Venezuela e la Spagna per far piovere su Podemos milioni di petrodollari chavisti. Podemos nega che ci siano vincoli tra il Ceps e il movimento politico di Iglesias e compagni. «El Nacional» sostiene invece che da quando, il 26 novembre del 2002, il Ceps ha aperto un ufficio a Caracas e ha autorizzato una cittadina spagnola a rappresentarlo di fronte alle istituzioni locali, si è aperta un’autostrada a carichi di quattrini spostati a vario titolo dalle casse chaviste a quelle della fondazione.