La missione di Joe Biden in Europa è avvenuta in un contesto tragico e al tempo stesso rassicurante. La carneficina di Vladimir Putin in Ucraina prosegue; un suo effetto collaterale però è quello di rinsaldare l’Occidente. La Nato si rafforza sul versante est con l’invio di truppe nei paesi più vicini alla Russia. Le sanzioni economiche diventano sempre più stringenti. Si cerca anche un approccio comune per convincere la Cina a non aiutare – o almeno, non troppo – la folle avventura di Putin. Basterà?
C’è stata una correzione di rotta nella strategia americana verso i due grandi rivali, Russia e Cina. Ancora pochi mesi fa una corrente di realisti della geopolitica consigliava a Biden di ricucire con Putin per sottrarlo all’abbraccio cinese. La recente telefonata fra il presidente americano e Xi Jinping segnala l’approccio opposto: si cerca un’intesa con la Cina per isolare Mosca. La Casa Bianca non si fa troppe illusioni sull’aiuto di Pechino. Però spera di spostare Xi su posizioni di neutralità vera, non fasulla.
L’argomento americano è forte perché fa leva sull’equivalente finanziario dell’arma nucleare: la soverchiante egemonia del dollaro. Il messaggio di Biden è chiaro. La Cina è una grossa azionista dell’economia globale, ha immensi interessi in Occidente, dove trova i suoi principali sbocchi commerciali. La Pax americana le ha consentito un trentennio di crescita spettacolare. Ora l’economia cinese subisce uno shock energetico, un rallentamento della crescita e una diffidenza sempre più forte presso gli occidentali. Non ha interesse ad appiattirsi sulle dissennate azioni di Putin. Le aziende cinesi subirebbero danni enormi, se i loro affari con la Russia le mettessero nel mirino delle sanzioni occidentali, escludendole dal circuito universale del dollaro.
Xi è consapevole dei rischi che corre. Compie un esercizio di equilibrismo. Cerca di non chiudersi gli accessi all’economia globale. Ma non vuole tradire Putin a cui lo lega un rapporto stretto, cementato dalla comune analisi sulla debolezza dell’Occidente. Più crescono le difficoltà dell’armata russa in Ucraina, più i media di Stato cinesi smorzano i loro appoggi a Putin: forse è un segnale che Xi si sta cautelando. Però la sua sintonia con Putin resta forte ed è confermata dall’antico proverbio cinese che Xi ha proclamato a Biden: «Spetta a colui che ha messo il sonaglio al collo della tigre, il compito di toglierlo». È una linea ripetuta più volte, Xi abbraccia la teoria putiniana dell’accerchiamento e quindi dice: siete voi occidentali ad avere allargato la Nato in modo da attentare alla sicurezza russa, ora ne pagate le conseguenze, dovete risolvere voi una crisi che avete creato.
Nel frattempo la Cina persegue un ordine mondiale alternativo. A cominciare dall’architettura finanziaria. È significativo il negoziato con l’Arabia saudita, per convincere Riad ad accettare renminbi cinesi invece dei dollari come pagamento per le forniture di petrolio. Il cammino verso una globalizzazione sino-centrica sarà lungo. La supremazia del dollaro non è soltanto un retaggio del secolo americano, un effetto collaterale della leadership militare ed economica dell’impero calante. Dietro l’accettazione del dollaro c’è l’affidabilità di uno Stato di diritto, la certezza delle regole, l’imparzialità dei tribunali. I valori dell’Occidente, in questo caso, hanno una funzione rassicurante per tutti gli operatori economici.
Xi non vuol dare per sconfitto il suo compare e alleato. Sulle forniture di armi cinesi all’armata russa? Dice che sono di routine, non specifiche richieste per massacrare il popolo ucraino. Sull’effetto delle sanzioni occidentali, Pechino ricorda che il regime degli ayatollah in Iran è sopravvissuto ai tentativi di strangolamento economico. L’indebolimento oggettivo di Mosca si trasforma in opportunità. La Cina ha già firmato contratti per 118 miliardi di dollari di gas, ha fatto incetta di cereali russi, e gli investitori di Shanghai si avventano su aziende russe in liquidazione. L’esodo in massa delle multinazionali occidentali da Mosca e San Pietroburgo viene considerato un’opportunità per le loro concorrenti cinesi. È in atto una colonizzazione che non dispiace a Xi, è la rivincita sul periodo in cui l’Urss dominava e «modernizzava» i compagni maoisti.
In questi giorni respiro un certo trionfalismo americano sull’efficacia delle sanzioni economiche per mettere in ginocchio Putin e costringerlo a concessioni sostanziali, accorciando la carneficina in corso in Ucraina. Ad attenuare il coro ottimista interviene un documentato articolo del «Wall Street Journal» che ricostruisce il modo in cui sopravvive un altro Stato-canaglia, Stato-paria, Stato-reietto sottoposto a sanzioni pesanti e prolungate: l’Iran. Avendo io stesso viaggiato a lungo in Iran qualche anno fa, quando già il regime delle sanzioni americane era in vigore da tempo, ricordo i disagi innumerevoli nella vita quotidiana della popolazione. Tanti prodotti stranieri erano introvabili a Teheran e nelle città di provincia. Il cambio di valuta straniera avveniva soprattutto al mercato nero, in un contesto di forte svalutazione e inflazione. Le comunicazioni con l’estero erano ostacolate, a tal punto che per un turista europeo fare un bonifico per pagare un hotel o un’agenzia viaggi era quasi impossibile. Eppure il regime reggeva, e regge. Inefficiente e corrotto ma politicamente solido. La massa degli iraniani soffrivano (soffrono tuttora) per le sanzioni, ma almeno i più poveri venivano assistiti da qualche forma di assistenzialismo islamico, gestito dalla macchina di potere dei pasdaran. A loro volta arricchiti con vari traffici legati al mercato nero.
A monte di questa economia, malata ma non al punto da minacciare la stabilità del regime, c’era la ragnatela di transazioni segrete messa in piedi all’estero. «L’Iran – come ricostruisce nei dettagli il Wall Street Journal – ha stabilito un sistema bancario e finanziario clandestino, per gestire decine i miliardi di dollari di commercio estero, proibito dalle sanzioni occidentali. Questo sistema ha consentito a Teheran di sopportare l’assedio economico e di conservare un potere negoziale anche sul dossier nucleare. Il sistema include conti presso banche straniere, compagnie-ombra con sedi sociali e nazionalità estere, società che coordinano il commercio vietato, coordinate da una clearinghouse (camera di compensazione) all’interno dell’Iran. Così il paese ha resistito alle pressioni di diverse amministrazioni americane».
Senza entrare in tutti i dettagli, si tratta di una finanza parallela, un sistema bancario clandestino ma appoggiato presso piazze internazionali, non troppo dissimile in fondo dal modus operandi della grande criminalità organizzata. Dopotutto anche i narcos, come l’Iran da anni e oggi la Russia, sono fuorilegge. Anche i narcos, o la camorra, o la mafia russa, hanno imparato come si possono gestire attività economiche colossali pur avendo le polizie di tutto il mondo alle calcagna.