Dopo la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, l’Austria è stato quest’anno l’ultimo paese a svolgere le elezioni legislative. Elezioni che, come è noto, hanno registrato una svolta a destra, con la vittoria dell’ÖVP (popolari), guidata dal trentunenne ministro degli esteri Sebastian Kurz, davanti all’SPÖ (socialisti) dell’ex cancelliere Christian Kern, e all’FPÖ (liberal-nazionali) di Heinz-Christian Strache. Kurz sarà probabilmente il futuro cancelliere austriaco e diventerà così il più giovane capo di un governo europeo. Il risultato potrebbe avere almeno due importanti conseguenze sul piano europeo ed invita a riflettere sul divenire di uno dei principali quattro Stati confinanti con la Svizzera.
La prima conseguenza a livello europeo potrebbe tradursi nell’avvicinamento dell’Austria ai paesi del Gruppo Visegrad, per quanto riguarda la questione dei migranti. Polonia, Ungheria Slovacchia e Repubblica ceca, rifiutano l’accordo europeo sulla ricollocazione dei rifugiati, dimostrando ben poca solidarietà con i paesi dell’Unione europea che accettano l’accordo per sgravare gli Stati frontiera dell’Unione europea, dove sbarcano i migranti. Questa loro posizione li pone in rotta di collisione con le autorità comunitarie, in primo luogo con la Commissione europea che ha minacciato di adottare sanzioni. Negli ultimi anni, l’Austria ha reso più difficile l’accesso al diritto d’asilo, ha rafforzato il controllo delle sue frontiere e, lo scorso 1. ottobre ha introdotto il divieto d’indossare il burqa nei luoghi pubblici. Sebastian Kurz è stato all’origine della chiusura della rotta dei Balcani e, durante la campagna elettorale, ha manifestato più volte l’intenzione di ridurre i sussidi sociali versati agli stranieri. Dal canto suo, Heinz-Christian Strache, il leader dei liberal-nazionali, probabile partner di Kurz nel futuro governo austriaco, difende posizioni ancora più estreme nei confronti dei migranti e dell’islam. L’avvicinamento dell’Austria al Gruppo di Visegrad renderebbe ancora più difficile in Europa la ricerca di soluzioni alla questione dei rifugiati.
La seconda conseguenza deriva dall’avanzata dei liberal-nazionali dell’FPÖ, che ha ottenuto più del 5% dei voti rispetto alle elezioni del 2013. Il risultato si avvicina alle percentuali che questo partito otteneva venti anni or sono, quando era diretto dal capo storico Jörg Haider, e rappresenta un successo, che ha fatto dimenticare la sconfitta subita dall’FPÖ alle elezioni presidenziali dello scorso mese di dicembre, quando il suo candidato Norbert Hofer venne battuto dall’attuale presidente Alexander Van Der Bellen. È un traguardo che consente ai vari movimenti populisti europei di sentirsi confortati nelle loro battaglie e di trovare nell’Austria un modello che può ispirare ed influenzare analoghe esperienze in altri paesi.
Data la vicinanza dell’Austria, possiamo chiederci se il suo voto può ripercuotersi in qualche modo sulla scena politica svizzera? Premettiamo che l’Austria è un paese che conosciamo poco e che solo in determinati casi, perlopiù politici o sportivi, attira la nostra attenzione. Eppure l’Austria è molto simile alla Confederazione. È un paese alpino come la Svizzera ed ha una popolazione di poco più di 8 milioni, pari a quella che risiede entro le frontiere elvetiche. È un paese tra i più ricchi in Europa, con un’economia sana, con poca disoccupazione e con un forte potere d’acquisto per i suoi abitanti. Il suo statuto internazionale si fonda sulla neutralità, dichiarata nel 1955, dopo la partenza delle forze alleate che occupavano il paese. Le sue radici storiche non sono dunque così profonde come quelle della neutralità svizzera, ma hanno anch’esse come base il riconoscimento delle maggiori potenze internazionali dell’epoca. Il suo ordinamento istituzionale, infine, non è molto diverso da quello elvetico, con nove Länder invece di 26 cantoni e con due camere legislative.
Certo, le differenze tra i due paesi non mancano, cominciando dalla storia. Durante più secoli, i confederati hanno dovuto lottare contro il dominio degli Asburgo che avevano esteso il loro potere alle terre elvetiche e, durante il nazismo, l’Austria accolse con simpatia l’arrivo delle camicie brune e si lasciò annettere alla Germania nazista, mentre la Svizzera difese la sua indipendenza. Oggi, tanto per menzionare alcune differenze, possiamo citare il diverso funzionamento dei due governi federali, il plurilinguismo, base del sistema elvetico, ma non di quello austriaco, ed i rapporti con l’Unione europea: l’Austria vi ha aderito mentre la Svizzera ha scelto un’altra strada.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, Svizzera e Austria hanno sempre intrattenuto relazioni molto strette. Gli scambi commerciali sono importanti. Il volume complessivo supera i 15 miliardi di franchi l’anno. L’Austria figura tra i dieci principali partner commerciali della Svizzera e la Confederazione è tra i cinque primi partner dell’Austria. Ben 16’000 cittadini svizzeri risiedono in Austria e rappresentano la seconda colonia elvetica all’estero dopo quella che vive in Francia. Anche sul piano politico si osserva una forte collaborazione, in particolare in seno all’OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), o nei rapporti stabiliti con i paesi dell’area germanofona.
Le analogie tra i due paesi e le loro strette relazioni potrebbero indurre a pensare che esistono reciproche influenze tra le due scene politiche. L’ipotesi è però azzardata. Un’elezione generale è condizionata dal passato e dai problemi del presente. Nel caso austriaco, la questione degli immigrati è stata al centro della campagna elettorale e chi ha vinto ha saputo proporre risposte più confacenti alle paure ed al bisogno di sicurezza e d’identità della gente. La Svizzera non è alle prese con un fenomeno analogo. Le sirene che hanno esaltato la svolta a destra e che si sono sentite a Vienna negli ultimi giorni, dunque, non risuoneranno nelle principali città elvetiche. Possono tutt’al più costituire uno stimolo per chi vorrebbe andare nella stessa direzione.