Generali francesi contro la «deriva islamista»

L’emergenza Covid ha esasperato la crisi che investe una società sempre meno coesa. I militari minacciano il golpe e una buona parte della popolazione è dalla loro parte. Intanto il presidente Macron perde ancora consensi
/ 10.05.2021
di Lucio Caracciolo

«L’ora è grave, la Francia è in pericolo di morte. Noi che, anche quando nella riserva, restiamo soldati di Francia, nelle circostanze attuali non possiamo restare indifferenti alle sorti del nostro bel Paese. (…) Il nostro onore impone oggi di denunciare la disgregazione che colpisce la nostra patria. (…). Se non si farà nulla, se il lassismo continuerà a diffondersi nella società, provocherà alla fine un’esplosione e l’intervento di nostri camerati in servizio attivo in una perigliosa missione di difesa dei nostri valori di civiltà e di salvaguardia dei nostri compatrioti sul territorio nazionale».

Questo avviso di pronunciamiento militare è apparso il 14 aprile sul sito «Place d’armes» e sulla rivista «Valeurs actuelles», riferimenti della destra ultraconservatrice e reazionaria francese. Seguiva la firma di oltre un migliaio di ufficiali e soldati, quasi tutti pensionati, fra cui 25 generali. Altre migliaia di firme si sono aggiunte nei giorni successivi. La data del proclama ricordava volutamente il fallito putsch dei generali che il 14 aprile 1961 intendeva bloccare il processo di distacco dell’Algeria dalla madrepatria gestito da Charles de Gaulle. Insomma, una vera e propria minaccia di colpo di Stato.

Di più. Secondo un sondaggio la maggioranza dei francesi concorda col manifesto dei generali. La rilevazione di Harris per il «Financial Times» stabilisce che il 24 per cento dei loro connazionali «concorda fortemente» con i militari, il 34 per cento «abbastanza», mentre i dissenzienti sono il 42 per cento, divisi a metà fra gli «abbastanza» e i «molto critici». L’area dei simpatizzanti va ben oltre il Rassemblement national di Marine Le Pen, che ha subito supportato, con qualche distinguo, la proclamazione degli ufficiali. Quasi la metà dei macroniani (La République en marche), dei socialisti e della France insoumise, il movimento di Mélenchon, approva in tutto o in parte la clamorosa uscita, subito condannata dal primo ministro e dal ministro della Difesa. Emmanuel Macron ha almeno inizialmente evitato di buttarsi nella mischia.

Il segnale è quindi di estrema gravità. La Francia è in evidente crisi d’identità. Il «separatismo» dilaga. Con questo termine il presidente bolla le enclave monoetniche e monoreligiose – su base maggioritariamente maghrebina e fondo musulmano – che si stanno moltiplicando nell’Esagono. Buona parte del territorio nazionale e delle stesse grandi città, Parigi inclusa, è fuori del controllo diretto dello Stato. Per un Paese statolatrico e centralista, il colpo è duro da assorbire. Il progetto di assimilazione, alla radice del concetto francese di cittadinanza, è fallito. Il massimo che la République si può attendere è un graduale avvio all’integrazione dei figli dei nuovi immigrati, che implica una fase più o meno lunga di convivenza multiculturale. Contromodello della Francia moderna e contemporanea.

La Francia è forse il Paese più politico del mondo. Il gusto del dibattito dissacrante si sposa però male con la religione dello Stato. Di qui ricorrenti esplosioni di rabbia sociale o di aperta rivolta, ultimo caso i gilets jaunes. L’emergenza Covid, accentuata dalle deficienze del sistema sanitario, ha esasperato la crisi che investe una società sempre meno coesa. Dove una combattiva quota di nostalgici di Giovanna d’Arco, della radice bianca e cristiana della Grande Nazione, mal sopporta, o non sopporta affatto, il caotico separatismo punteggiato di atti di violenza e attentati terroristici.

Se a tintinnare le sciabole sono i militari, sia pure in pensione, il quadro diventa drammatico. Problema che Macron si porta dietro dai primi giorni di presidenza, quando con una decisione senza precedenti licenziò il capo di Stato maggiore delle forze armate, generale Pierre de Villiers, accusato di insubordinazione. La ferita non è stata rimarginata. L’appello degli ufficiali ne è dimostrazione. Le punizioni e le epurazioni fra i militari in servizio che hanno firmato il documento del 14 aprile saranno più o meno dure, ma non potranno certo spegnere il malessere diffuso fra i soldati di Francia, condiviso da tanta parte del popolo. Sintomo interessante della crisi di consenso del presidente, tutt’altro che certo della riconferma alle elezioni dell’anno prossimo.

Sarebbe davvero curioso – eufemismo – se nel futuro vicino il duo franco-tedesco fosse rappresentato al vertice da due donne che più diverse non si possono immaginare: Marine Le Pen, ipernazionalista francese, e Annalena Baerbock, verde tedesca. Come minimo, non ci annoieremmo.