Fugge la pm chavista nemica di Maduro

Paso doble – Il presidente venezuelano ha annunciato un mandato di cattura internazionale contro l’ex procuratrice generale, Luisa Ortega Diaz, fuggita in Colombia
/ 28.08.2017
di Angela Nocioni

Un motoscafo l’ha portata in gran fretta lontano dalla costa venezuelana, da lì un volo privato l’ha presa e depositata in Colombia. Prima che Maduro ne ordinasse l’arresto per chissà quale accusa penale, prima che qualcuno le sparasse sotto casa. La destituita procuratrice della repubblica venezuelana Luisa Ortega (nella foto), è scappata da Caracas con il marito, ex guerrigliero ed anche lui ex chavista. Si è data alla fuga la ex donna di ferro del regime, la dirigente chavista che più autorevolmente ha per anni coperto di un manto di formale rispettabilità giuridica le più basse vendette della cupola chavista verso i suoi oppositori. Prima seguace fedele di Hugo Chávez. Poi, senza batter ciglio, pedina obbediente di Maduro. Fino al voltafaccia in mondovisione del 31 marzo scorso, fino alla denuncia pubblica degli strappi alla Costituzione e alla sua nuova vita da bandiera della resistenza civile al regime. Quel giorno annullò a sorpresa le due sentenze del Tribunale supremo (in mano a Maduro) che esautoravano il Parlamento.

Il Tribunale non si aspettava questa mossa, fino a quel giorno aveva contato sulla copertura della procuratrice, un ruolo delicato nella impalcatura istituzionale chavista: allo stesso tempo capo dei pm e dei giudici, ma anche espressione del Parlamento che infatti l’aveva eletta in quel ruolo ai tempi in cui era ancora a maggioranza chavista. Il procuratore generale in Venezuela non fa parte né del potere esecutivo né del potere giudiziario, ma rappresenta un autonomo «potere cittadino». In quanto garante dei diritti dei cittadini, chi è eletto a quel ruolo è inamovibile per sette anni. Per cacciarla Maduro ha dovuto infatti compiere un ennesimo strappo alla legalità.

Vistosi bloccata la strada per esautorare il Parlamento, il successore di Chávez si è convinto a convocare elezioni per un’assemblea costituente (senza passare per il referendum popolare come prevede la Costituzione) per conseguire lo stesso obiettivo: mettere a tacere il parlamento in mano all’opposizione. Da quel giorno la nuova identità da antichavista della Ortega è andata avanti a passo deciso. Non si è più fermata. Prima ha dichiarato incostituzionale la convocazione della Costituente. Poi ha ordinato la scarcerazione dei manifestanti detenuti, costringendo Maduro a deferirli ai tribunali militari. Dopo ancora, quando il Tribunale supremo di giustizia le ha risposto che il suo ricorso era inammissibile, ha dichiarato nulla la votazione con cui nel 2015 erano stati insediati i 13 magistrati titolari e i 20 supplenti nell’intervallo tra la vittoria dell’opposizione alle politiche e l’insediamento della nuova Assemblea Nazionale, dichiarandoli decaduti.

Ma chi è davvero la temeraria ex procuratrice della repubblica del Venezuela? La bandiera della resistenza civile al regime è un personaggio tanto interessante quanto misteriose sono le sue intenzioni. La sua evoluzione nella politica venezuelana è da romanzo giallo.

Ex pupilla di Diosdado Cabello, numero due del regime, capo di una delle bande militari che si contendono la guida del governo, fu lei a far condannare con prove false Leopoldo López, leader antichavista e molto popolare nelle frange di estrema destra dell’opposizione, a 14 anni di carcere. Il pubblico ministero di quel processo ebbe una crisi di coscienza. Scappò dal Venezuela prima della sentenza, disse che le accuse erano tutte campate in aria, le prove tutte costruite e i testimoni pagati. La Ortega, impassibile, spedì con quelle accuse false Leopoldo Lopez in cella. Un lavoro rozzo, oltre che sporco. Perché non c’era bisogno di fabbricare prove false contro di lui. C’erano molte accuse provabili a danno di Lopez, che per anni si è mosso nella melma più violenta dell’antichavismo militante, quello che non disdegna le esecuzioni a freddo e le sparatorie degli incappucciati in strada. Eppure Lopez fu spedito da lei in cella in quel processo farsa in quanto leader dell’opposizione da silenziare con la forza, non per altro.

La Ortega, oggi quasi sessantenne, da ragazza militava nella sinistra rivoluzionaria, si occupava di difendere da avvocata i detenuti politici. Nel dicembre del 2007 Chávez la volle capo della Procura generale, il giorno del funerale del Comandante (come anche lei lo chiamava) era in prima fila tra i papaveri del regime. Nel 2014 Maduro la fece confermare. Lei non aprì bocca quando la prima ondata di grossa repressione spedì in galera senza prove centinaia di persone. «In Venezuela non ci sono prigionieri politici!», rispondeva a chi le chiedeva conto di quegli arresti arbitrari.

Perché questa giravolta all’improvviso? Non è credibile – considerato il suo ruolo di potere che la portava a necessaria conoscenza di quante nefandezze si commettono nel dietro le quinte del regime – che si sia accorta solo a fine marzo dei diritti calpestati in nome di una rivoluzione ormai defunta. Non è improbabile che l’abile e coraggiosa Ortega abbia valutato le poche possibilità che ha il chavismo di resistere in sella, abbia soppesato lo scarso appeal politico dei singoli leader dell’opposizione sempre in guerra l’uno contro l’altro e stia quindi preparando un suo debutto da candidata presidente per le future elezioni in un Venezuela postchavista. Una scommessa ardua, forse cinica, ma non sciocca.