Un testo lungo e articolato. Il più politico mai scritto da un Papa da cinquant’anni a questa parte. E per di più costruito con l’ambizione dichiarata di ridare speranza a un mondo messo in ginocchio dall’esperienza della pandemia. Eppure a pochi giorni dalla sua diffusione Fratelli tutti, la nuova enciclica di Papa Francesco, sembrava già passata via senza lasciare il segno. Finché non è arrivata mercoledì 21 ottobre la dichiarazione con cui il Pontefice apre al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Una risposta in realtà contenuta in un’intervista girata tempo fa per un docufilm del regista russo-americano Evgeny Afineevsky; ma che di fatto ha riacceso i riflettori sull’idea di fraternità di papa Francesco.
L’aveva voluta firmare pubblicamente ad Assisi, proprio sulla tomba del santo completamente fuori dagli schemi da cui ha scelto di prendere il nome, l’enciclica Fratelli tutti. E forse pochi gesti quanto questo compiuto nei confronti del mondo LGBT sottolineano lo sguardo davvero a 360 gradi di Bergoglio. Va detto che le parole dell’intervista non cambiano la visione di fondo da parte della Chiesa: non si tratta di un’apertura all’equiparazione tra il matrimonio e le unioni omosessuali. Il Papa distingue in maniera chiara tra il piano delle legislazioni civili e la dottrina della Chiesa riguardo alla famiglia, che non si sposta dall’idea di un’unione fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Eppure per anni buona parte del mondo cattolico – con il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche – ha descritto anche lo strumento giuridico delle unioni civili come un «pericoloso scivolamento» verso i matrimoni tra gay. Ora invece è il Papa in prima persona a indicare questa strada. E non nella prospettiva di un presunto «male minore», ma perché anche le coppie omosessuali sono fratelli a cui vanno garantiti diritti specifici di fronte alla legge.
Non stupisce che questa dichiarazione di Papa Francesco abbia fatto subito il giro il mondo. Anche se in realtà di contenuti nell’enciclica ce ne sono anche molti di più e non meno destabilizzanti per i cultori dell’ordine all’interno della Chiesa di Roma: Fratelli tutti è infatti un vero e proprio manifesto del pensiero sociale di Bergoglio. La fraternità di cui parla non è un mero ideale personale, ma un paradigma per tutti i rapporti all’interno della società, fino alle stesse relazioni internazionali. È un prisma attraverso cui il Pontefice legge tante situazioni chiave del mondo di oggi: parte dalla questione del dialogo interreligioso, dicendo espressamente che il suo modello ispiratore è proprio san Francesco che otto secoli fa – nel mezzo di una crociata – si recava a Damietta, in Egitto, per incontrare «come un fratello» il sultano Malik al-Kamil, cioè il nemico per eccellenza. Da quell’esperienza – ricorda il Pontefice argentino – il santo di Assisi tornava chiedendo ai suoi frati inviati tra i saraceni di «non fare liti e dispute», ma di essere «soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio».
Questo modo di intendere la fraternità oggi per papa Francesco significa soprattutto promozione di una società aperta, dove il punto di vista è universale e i diritti di cui ogni uomo è portatore sono senza frontiere. Una visione agli antipodi del sovranismo, indicato senza troppi giri di parole come il contraltare della buona politica. Per Bergoglio «aprire il cuore al mondo» non è affatto una resa a un modello di globalizzazione dove a vincere è sempre il più forte dal punto di vista economico. Chiede di andare oltre l’orizzonte di «un mondo di soci», scrive a un certo punto dell’enciclica, rimproverando alla cultura illuminista di aver svuotato la fraternità – uno dei tre grandi ideali della Rivoluzione francese – della sua estrema concretezza. Al contrario, dice papa Francesco, la fraternità deve diventare un orizzonte anche economico, alla luce di quella «destinazione universale dei beni» che non è certo un’idea nuova nel magistero della Chiesa cattolica ed è ben poco compatibile con il dogmatismo liberale su cui si fonda la globalizzazione.
Alla fine – in questo suo volumetto di più di duecento pagine – Bergoglio non fa altro che spiegare fino in fondo che cosa volesse dire quando nel momento più duro della pandemia ripeteva che «siamo tutti sulla stessa barca». Se nel tramonto tenebroso di marzo in piazza San Pietro quell’immagine appariva soprattutto come il riconoscimento di una tragedia che ci accomuna, ora nell’enciclica il Papa mette l’accento sul fatto che per uscire da questo e da tanti altri mali il mondo è chiamato sì a farsi carico di ciascuno, ma remando tutti nella stessa direzione.
Far si che non diventi un’utopia è il compito che spetta alla politica: papa Francesco in Fratelli tutti ne riafferma con forza il primato sui diktat dell’economia e della tecnocrazia. Si scaglia contro le polarizzazioni che in nome di un consenso facile acuiscono le divisioni interne in tanti Paesi e minacciano la pace tra le nazioni. Propone la distinzione tra popolare e populista: «Un popolo vivo, dinamico e con un futuro – scrive – è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi, assumendo in sé ciò che è diverso».
Temi alti e decisamente sul pezzo rispetto alle questioni calde che oggi agitano il mondo. Ma il problema di quest’enciclica sta a monte: chi sono gli interlocutori in grado di raccogliere questi inviti di papa Francesco?
Il mondo cattolico per primo fatica a stargli dietro; appare esso stesso polarizzato, scosso da una fronda forse numericamente non poi così significativa ma molto intraprendente sul web e sostenuta da generosi sponsor nel mondo neoliberista; una galassia di singoli e gruppi che mettono ormai apertamente in discussione la linea di questo Pontefice «più preoccupato delle questioni sociali che dell’annuncio di Gesù Cristo». Proprio la presa di posizione sulle unioni omosessuali accentuerà ulteriormente questa critica interna: nel cattolicesimo americano c’è già chi sta dicendo apertamente che «il Papa è in errore». Il tutto, poi, mentre gli scandali e le lotte di potere vaticane rilanciano un’immagine non esattamente fraterna persino di quel piccolo lembo di terra che il Papa dovrebbe governare. I frutti delle riforme della Curia Romana più volte auspicate stentano decisamente a vedersi, e questo non aumenta la credibilità di Bergoglio.
Ma è soprattutto nel main stream del popolo cattolico che la rassegnazione oggi sembra decisamente prevalere sulla voglia di cambiamento. Le parrocchie sono tra i pezzi di mondo che più faticano a trovare il bandolo da cui ripartire dopo l’esperienza della pandemia: l’ultima cosa che oggi hanno in mente è preoccuparsi di ripensare la propria presenza nella società. Quanto poi ai leader politici in circolazione basta guardare il livello della campagna elettorale negli Stati Uniti per avvertire l’impossibilità di trovare anche solo un vocabolario comune con papa Francesco. Mentre nemmeno il dialogo con le nuove potenze come la Cina di Xi Jinping sembra andare molto meglio alla Chiesa cattolica, visto quanto sta accadendo a Hong Kong. E infatti oggi il Vaticano – con la sua scelta più che comprensibile di rinnovare l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina, fortemente voluto da Bergoglio nel 2018 – fatica a non farsi strumentalizzare dentro lo schema dello scontro geopolitico tra Washington e Pechino.
In fondo Fratelli tutti e l’apertura alle unioni omosessuali sono lo specchio della fase difficile che il Pontificato di Francesco sta vivendo. Esaurita la spinta propulsiva degli inizi, ricacciato in Vaticano dalla pandemia che per la prima volta dopo molti anni rende impossibili viaggi papali e bagni di folla, ostinatamente controcorrente in una fase storica in cui sembra dilagare ogni genere di paura, Bergoglio ha delineato il suo manifesto sul futuro. Ma senza una Chiesa che scelga di farlo proprio per davvero, rischia di trasformarsi nel sogno di un uomo solo.